martedì 9 novembre 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Domenica, 18 aprile 2010
A due settimane dalle ultime considerazioni sui significati reconditi di una tazza del cesso, mi è tornata la voglia di scrivere. E’ come una febbricola che viene e va a suo giudizio, e quando te la senti addosso non puoi farci gran ché. Ti siedi davanti al computer e cominci a premere i tasti. A volte non sai nemmeno che accidenti scrivere, ma se insisti, qualcosa viene fuori. L’applicazione della staffa per il motore, per esempio, merita due righe, perché ormai è un problema del passato e fa la sua bella figura dietro la poppa e dà un’impressione di sicura stabilità. Quanto ai soci del club, non hanno ancora spostato le barche, perché il meteo dei fine settimana ci ha messo lo zampino. Di conseguenza, non ho ricevuto solleciti né proteste. In queste giornate di brutto tempo ho passato qualche ora davanti alla TV, in cerca di un film o anche di una trasmissione sportiva, tanto per non perdere del tutto i contatti con gli eventi fondamentali, tipo Formula uno, campionato di calcio, champions, motomondiale. Ho incocciato un paio di volte Enrico Variale, che ormai si riconosce
a fatica. Sguardo spento, occhiali senza riflessi a festa, voce lamentosa e portamento noncurante. Non riesce più nemmeno ad azzeccare un pettegolezzo ad effetto. Se la Juve non torna a vincere, ce lo perdiamo di sicuro. Quanto al motomondiale, se Lorenzo non ce la fa neppure quest’anno, forse deciderà di cambiare mestiere. Sarebbe un ottimo stunt man, nessuno sa cascare meglio di lui. In libreria i gialli sono in crisi per la concorrenza sleale della TV. I giornalisti si appropriano gratuitamente di vicende reali, di morti ammazzati sul serio, e poi si pavoneggiano a raccontare le storie, con dovizia di particolari, come se le avessero scritte loro. Invece le hanno scritte i morti, che non possono neanche reclamare i diritti d’autore. Per la giornata di ieri, il meteo aveva promesso sole e tempo asciutto, perciò mi sono alzato di buon mattino per portare finalmente la barca all’ormeggio. Invece, già alla prima occhiata, la giornata si è presentata umidiccia, con cielo coperto e ragionevoli promesse di pioggia. Siccome mi ero rotto le scatole di vedere la barca a terra, e forse anche lei era incazzata, costretta com’era a restarsene sopra i rulli come una cogliona, quando avrebbe trovato più naturale darsi una sgranchita sopra le onde, ho deciso per entrambi e non ho cambiato programma. Inutile dire che, appena arrivato al club, è cominciato a piovere. Ho aspettato una decina di minuti per capire le vere intenzioni delle nuvole, infine ho deciso che si trattava di goccioline innocue e ho cominciato a spostare la barca sui rulli. Dopo un paio di metri, malgrado il percorso in discesa, i rulli di plastica hanno cominciato a rompere. Nel ruotare accumulavano sabbia sul davanti e si impuntavano come muli. Un paio di chilometri per arrivare a casa, gonfiare un paio di rulli in plastica, altri due chilometri all’incontrario e sostituzione. Problema risolto. La barca è scivolata per una sessantina di metri fino alla riva leggera come una piuma. Ho preso il motore dalla macchina e l’ho applicato alla staffa. Un’operazione semplice, ma anche il motore ha voluto dire la sua. Occorre spiegare che questo cazzo di motore deve sempre essere appoggiato, se a terra, sul lato sinistro e mai, dico mai, neppure durante la navigazione, deve essere inclinato sul lato destro. In tal caso, come mi hanno spiegato dopo l’acquisto, un po’ di olio va a finire sulla candela e volerlo far ripartire è un’impresa da disperati. Nel momento in cui lo infilavo sulla staffa mi è scivolato di mano e si è inclinato, occorre dirlo?, a destra. E’ stato solo un attimo, ma ho avuto lo stesso brutti presentimenti. Prima di andare in acqua ho legato la vela al pennone. Non si sa mai. Il fondale è molto basso, tanto che per guadagnare quattro o cinque metri e avere un minimo di galleggiamento devo puntare il remo sul fondo e spingere con forza. Sempre per via del fondale basso non posso abbassare il motore né tanto meno timone e deriva, perciò decido di allontanarmi a remi per una cinquantina di metri attraverso uno stretto passaggio fra due file di scogli. Le nostre decisioni, però, sono a rischio perfino se prese sulla base del nostro operato, figurarsi se le prendiamo sulla base dell’operato altrui. E’ chiaro, almeno credo, che per altrui intenda quell’incosciente del mio amico pittore, che ha fissato l’alloggio dello scalmo sulla plastica dello scafo con quattro viti autofilettanti, senza curarsi delle crepe e degli squarci prodotti tutt’intorno. E poiché il remo sforza sullo scalmo e questo nel proprio alloggio, la naturale conseguenza è stata quella di veder saltare uno dei remi appena vi ho messo mano. Per fortuna il vento era di un paio di nodi e il mare calmo. In qualche modo sono riuscito a superare gli scogli e ad allontanarmi di poco. Subito dopo ho calato in acqua il motore, ma sotto funesti presagi. Infatti non è partito. Niente motore, niente remi. Per fortuna avevo già legato la vela al pennone. L’ho issata subito. Avrebbe dovuto essere un collaudo, invece era qualcosa di più. E’ andata bene. L’assetto era uno schifo, ma la barca andava. Prima di entrare in porto ho provato anche un paio di virate, poi sono entrato e ho raggiunto l’ormeggio. Quasi dimenticavo. Mentre issavo la vela, dopo i guai con i remi e il motore, mi sono ritrovato con l’acqua alle caviglie. Avevo dimenticato il tappo. Lo avevo in tasca.

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