martedì 16 novembre 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Venerdì, 23 aprile, 2010
Il motore non vuole partire. L’ho minacciato di buttarlo in mare, ma non ne vuole sapere. Ho telefonato al rivenditore. Mi ha suggerito di soffiare sull’imboccatura del serbatoio, dilungandosi a spiegare che se è stato fermo per parecchi giorni il carburatore potrebbe essere secco e un po’ di pressione dall’alto sarebbe di aiuto. Ho riempito il serbatoio fino all’orlo, poi mi sono messo a soffiare da spaccarmi le guance. Quello che ti manda fuori di testa con i motori è che sono insensibili. Alla fine mi sono deciso a telefonare a un amico, un meccanico di motori marini, e se ne parlerà lunedì. Chi se ne frega, tanto oggi piove. La solita pioggerellina che fa disertare i pontili e li trasforma in paesaggi remoti e malinconici. Domani pioverà ancora, a quanto dicono i colonnelli alla TV. In fondo, serve anche la pioggia. Ti richiama alla realtà, nel caso cominciasse a frullarti per la testa qualche idea strana, come, per esempio, che la vita è bella perché il sole si leva ogni mattina. Nessuna obiezione a che si levi ogni mattina, il fatto è che a volte è difficile, molto difficile vederlo, ancora più difficile sentirlo, e la colpa non è sempre delle nuvole. Capita di non notarlo perfino quando ci sovrasta e ci illumina e ci brucia la pelle. In realtà, siamo noi che sorgiamo ogni mattina e quando non lo faremo più non lo farà neanche il sole. Siamo noi a decidere che il sole debba essere visibile o meno, che ci riscaldi o che ci ignori, non sono le nuvole. Per questo i giorni di pioggia sono una sorta di test. Verificare se riusciamo a sentire il sole senza vederlo, ad essergli grati, anche se nascosto, per aver voluto sorgere insieme a noi e regalarci un altro giorno di vita. Non vanno sprecati i giorni di pioggia. Si può leggere, dipingere, scrivere, studiarsi una lingua straniera, concentrarsi sull’amore, convincersi di non essere ancora diventato una testa di cazzo sbirciando, ogni tanto, certe trasmissioni alla TV. Su questo punto occorre fare attenzione. L’espressione TDC non ha un preciso riferimento scientifico. Ogni straccio di psichiatra ti sa spiegare, dico scientificamente, malattie mentali come la schizofrenia, la paranoia, la depressione e l’immane congerie di idee ossessive che affliggono una società progredita come la nostra. Ti sanno individuare la parte del cervello responsabile, la carenza o l’esubero di sostanze, attraverso cui si crea uno squilibrio che manda in tilt un sistema di nervi e di cellule che sono la meraviglia del creato. Tuttavia, chi interrogasse gli stessi scienziati sulle cause recondite della testadicazzaggine, non avrebbe risposte soddisfacenti. Forse neanche risposte. Il fatto è che la malattia esula completamente dal settore scientifico, a meno che non si parli di scienza empirica, basata in linea di massima sull’individuazione di una comune sintomatologia. Ma anche qui, dobbiamo riconoscerlo, la situazione non migliora. Quali sono i sintomi attraverso i quali si riconosce una tdc? Si può solo rilevare che una tdc è una persona, in genere di sesso maschile per evitare contraddizione di termini, che pensa cazzate, dice cazzate, fa cazzate, induce altri a pensare, dire e fare cazzate. Dovremmo però sapere cos’è una cazzata e se cerchiamo nel dizionario dei sinonimi ne troviamo gli equivalenti in balordaggine, stupidaggine, sciocchezza. Dunque, dare del testa di cazzo equivarrebbe a dare dello sciocco, dello stupido, del balordo. Ma non è così. Certe parole, certe espressioni, hanno vita propria e si ribellano ai rigori di una classificazione, per quanto attenta. Possono essere considerate il culmine nella manifestazione di un concetto, nell’espressione di una positività o peggio ancora di una negatività. In tal senso diventa fondamentale il ritmo, l’accentazione, il suono delle vocali, la loro apertura, chiusura e il loro intervallo con le consonanti la loro forza evocatrice e i legami culturali. Da tante combinazioni, che in genere passano inosservate, scaturisce la forza, a volte la potenza e la devastante efficacia di certi epiteti. Per questo motivo, vorrei proprio dire scientifico, una testa di cazzo può avere ben poco in comune con uno sciocco, uno stupido o un balordo. Sulla scala che porta alla negazione dell’antica logica, quella fatta di sillogismi veraci, per intenderci, è a un livello più alto che si pone l’individuo con tale appellativo. Va ricordato a questo punto, che non siamo riusciti a definire una cazzata, cioè il sintomo di base, né la frequenza necessaria per definire la testa di cazzo, e che manca del tutto il supporto scientifico della causa deviante. Ciò spiega l’uso improprio frequente e l’inflazione crescente. Come dicevo, bisogna fare attenzione.

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