mercoledì 1 settembre 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Martedì, 23 marzo, 2010. Il carrozziere non ha trovato il pezzo dalla concessionaria (e ti pareva!), ha dovuto ordinarlo. Se riuscirà ad averlo stasera, la macchina sarà pronta per domani a mezzogiorno. Non so se devo credergli. Anche oggi, quando ha risposto al telefono, ha farfugliato un pochino. Con una sola macchina, non siamo al culmine dell’efficienza, ma non è il caso di disperare. Certo, se di simili inconvenienti se ne accumulano quattro o cinque, come ci è capitato fra ieri e oggi, e sarebbe superfluo elencarli, tanto non c’è pericolo che me ne dimentichi, allora è tutt’altra cosa e si potrebbe anche sprofondare in un baratro filosofico con la pretesa di affrontare l’argomento della felicità e capire se quando sei incazzato sei infelice e se essere felice vuol dire solo che non sei incazzato. Capisco che si tratta di un modo riduttivo di affrontare l’argomento, che peraltro è stato sviscerato da cervelli molto più illuminati, ma che alla fine sono giunti a conclusioni poco illuminanti. Omnis instabilis et incerta felicitas est (la felicità è sempre instabile e incerta), diceva Seneca, per esempio, che però ha anche affermato In virtute felicitas posita est. Quanto alla prima, è un po’ nebbiosa e lascia il tempo che trova, quanto alla seconda, va chiarito il senso della virtù. Se ai tempi di Seneca il primo anelito dello spirito era conquistare la virtù oggi non si può dire lo stesso. La virtù è stata rimpiazzata con l’auto di grossa cilindrata, la villa al mare o la nave da diporto di ventiquattro metri. Dunque, mutatis mutandis, bisognerebbe dire che sono queste ultime a dare la felicità. Invece non si può, o si entrerebbe in collisione con il paradosso di Easterlin. Approfondendo uno studio sul rapporto fra la ricchezza e la felicità di un individuo, ha riscontrato che oltre un certo limite esso è inversamente proporzionale, il che vuol dire che se troppo cresce la ricchezza, cala la felicità. Se è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri in Paradiso, vuol dire che i ricchi sono malvagi, e se è vero, come dice Giovenale, che nessun malvagio è felice, di nuovo ci scontriamo, e stavolta anche peggio, con l’idea che i rimpiazzi dell’antica virtù portino con sé la felicità. Un baratro è sempre pericoloso, anche se filosofico, meglio non lasciarsi precipitare. Concludo dunque, arbitrariamente e senza citazioni, che evitare le incazzature è già un primo passo verso la felicità. Il fatto è che le incazzature mica te le vai a cercare, te le recapitano a domicilio con la posta, per telefono, perfino con le mail, ci sbatti il muso per la strada, nei negozi, ancor più nei supermercati, ti scoppiano dentro casa. Nessun governo si è mai occupato delle incazzature, perciò inutile cercare la salvezza dietro l’usbergo di leggi al riguardo che mai vengono promulgate. Per salvare il bilancio della Sanità se la sono presa con i fumatori, li hanno criminalizzati, hanno fatto girare voce che si tratti di comuni drogati, se la sono presa con gli obesi, poveracci, che già sono pieni di guai per conto loro, e ormai siamo a un passo dal criminalizzare i vecchi, una sorta di parassiti che beneficiano dell’assistenza sanitaria a sbafo. Invece le incazzature, quelle che fanno salire la pressione a livelli esplosivi e distribuiscono a piene mani ictus, infarti e invalidità permanenti, continuano ad essere ignorate senza speranza. Ma forse è meglio così. Il Parlamento, come al solito, affronterebbe il problema da un’ottica fasulla, come ha fatto per gli obesi e i fumatori. Non se la sono presa con chi mette il cibo spazzatura in commercio, ma con chi lo consuma, per ovvi motivi non hanno vietato la vendita di tabacco, preferendo criminalizzare chi lo fuma. Inutile chiedersi cosa scaturirebbe da un’eventuale presa di posizione del legislatore riguardo alle incazzature. Non se la prenderebbe con chi ti fa incazzare, ma con chi si incazza, facendo salire il numero degli infarti e degli ictus a livelli inimmaginabili. Sarà meglio continuare a provvedere da soli con i consueti fanculo, merda, magari cercando di perfezionare tono e volume, forse anche il numero in successione e curando gli intervalli, in modo che l’effetto ansiolitico si produca con maggiore efficacia. Per gente meno scurrile, esistono anche delle varianti. Potrebbero gridare Jeronimo!, con quanto fiato hanno in gola, e mettersi a spaccare tante cose inutili di cui avrebbero dovuto disfarsi da tempo, oppure cominciare a ballare al grido di Akuna matata!, come insegnava allo sventurato Simba il simpatico maialino, o forse era un cinghialino, in in The Lion King.

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