lunedì 30 agosto 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Lunedì, 22 marzo 2010. Piove. A volte il cervello funziona come un computer, pronunciare o scrivere una parola è come premere un tasto e aprire una finestra. A me succede, per esempio, con piove. Nella schermata compare una poesia. Non ricordo quando l’ho studiata, ma certamente andavo in giro con i pantaloncini corti, anche d’inverno, e mi cavavo ancora i denti da latte con il filo da cucito. Un paio di volte anche a scuola. In quelle due occasioni frequentavo la scuola media ed è facile risalire all’età, anno più, anno meno. Nella schermata appare una poesia, chissà come si chiamava il poeta, ma cominciava proprio con Piove, e non ne ricordo che pochi versi. Piove, e laggiù sulla via/si sente l’intima malinconia/di quella pioggia che cade./ Piove da un’ora soltanto,/ ma il bimbo pensa/che già piova da tanto,/da tanto, sopra la grande città. In un altro punto dice che lo scroscio si sente giungere dalle vetrate/che versan lacrime lente/come fanciulle imbronciate. Non ricordo la datazione, ma è molto vecchia e certo si riferiva a un’altra pioggia. Difficile credere che quella di oggi possa risvegliare, cadendo, un’intima malinconia. Sarà perché è piena di acidi, forse anche un po’ di radiazioni, e la prima cosa che ti viene in mente è di cambiare l’acqua al cane, se tieni la ciotola all’aperto, o ti muore avvelenato. Di sicuro il disboscamento e l’edilizia abusiva erano in uno stadio primordiale e quando pioveva non crollavano intere colline, seppellendo case e cristiani. Poi c’è da chiarire la faccenda del bimbo. Quanti anni poteva avere? Per provare un’intima malinconia doveva averne almeno dieci o dodici. E oggi, si è ancora bimbi a quell’età? Meglio scendere a sei anni, sette al massimo, perché a dodici si è già contaminati. Non bisogna dimenticare che intorno a loro si agita uno stronzo mondo di adulti e che crescono all’ombra di giocattoli supertecnologici, delle play station, dei cellulari multifunzione e non so di che altro ancora. E’ anche probabile che di questi tempi un’intima malinconia possa venire scambiata per una psicosi e destare gravi inquietudini. Conclusione? Non era solo la pioggia ad essere diversa. Divagazioni. Riflessioni. Raro che siano incoraggianti. Comunque, poco male se oggi piove. Alle dieci e mezzo ho appuntamento dal dentista, orario disgraziato che manda la mattinata a puttane. Poi dovrò anche occuparmi dello specchietto retrovisore della macchina. E’ proprio quella che di solito usa mia moglie. La preferisce per via della retromarcia meno impegnativa. Decido di andarci quando apre, di coglierlo di sorpresa e di convincerlo a metterci le mani subito. Mia moglie però vorrebbe essere più sicura, accertarsi di non fare un viaggio a vuoto avvertendolo con una telefonata. La accontento e prendo appuntamento con il carrozziere per le due del pomeriggio. Cioè, lui apre alle due e mezzo, ma io posso lasciargli la macchina alle due, davanti alla carrozzeria. Le chiavi nella cassetta della posta. Dal tono mi è sembrato di capire che ha intenzione di farla subito. Poi ascolteremo il verdetto, ma so per certo che sarà salato. Fanculo i soldi. Speriamo almeno che la faccia davvero per stasera. Con una sola macchina facciamo fatica a muoverci. E’ incredibile che ci sia stato un tempo in cui in famiglia ci si spostava su un paio di biciclette, una da uomo e una da donna, o anche su una sola, da donna, perché andava bene per tutti, e che era già fortunato chi poteva permettersi uno di quei motorini da applicare alla bici e viaggiare rilassato a una ventina di chilometri l’ora, e non è difficile collegare il tutto ad altri cambiamenti del genere e al fatto che oggi i fottuti soldi non bastano mai. Il modello consumistico non fa sconti. Se non lavori, non mangi, ma se non consumi, non lavori. Un caso raro, in cui due più due fa quattro. Oggi sono andato a farmi otturare un dente. Aveva una carie nascosta, ma non c’è voluto molto. Anzi, il tempo avanzato è servito a farmi estrarre anche un dente del giudizio che dondolava come una campana e stava lì da un paio d’anni a vivere da parassita. Verso le quattro è finito l’effetto dell’anestesia ed è stato il momento della verità. Me la sono cavata applicando alla guancia un pacco di surgelati che ho tirato fuori dal freezer. Più tardi sono perfino riuscito a mangiare qualcosa. Una torta, per la verità, niente da masticare. Alle sei ho richiamato l’amico carrozziere. Della mia telefonata non ricordava un cazzo, è andato subito a vedere la macchina ed è tornato come un fulmine per dirmi che non c’era niente da fare. Tranne spendere un capitale per sostituire tutto il blocco dello specchietto. Mia moglie ha assistito alla telefonata senza fare commenti. Era solo incazzata. Mai fidarsi dei programmi, comincia a impararlo anche lei. Speriamo di potercela riprendere per domani sera. La prova del pennone e della vela è rimandata a posdomani. E’ piovuto tutto il giorno, per fortuna senza scrosci, comunque domattina si va a sgottare.

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