martedì 3 agosto 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Domenica, 7 marzo 2010
Scirocco e nuvoloni da ponente, niente di buono. Sole a mezzo servizio. Si fa vedere per una decina di minuti, poi corre a nascondersi dietro una nuvola. Temperatura, 9 gradi. Questi sono i dati che un appassionato di vela registra quasi inavvertitamente, appena mette il naso fuori della porta di casa, poi li combina e ne estrae il responso per la giornata. Stamattina, per esempio, si potrebbe anche navigare, ben coperti e con una bella cerata appresso, nel caso i nuvoloni che vengono da ponente si facciano scuri e decidano di guastarti la festa. In genere fai in tempo a rientrare prima dello scroscio, ma se è un giorno di sfiga non ce la fai. Ma non è certo la fine del mondo. Se proprio sei un incosciente e non ti sei portato una cerata o qualche indumento impermeabile, puoi sempre ancorarti e rifugiarti sotto la vela. Se il mare si incazza sul serio e non puoi ancorarti per non rischiare che le onde ti spezzino la cima dell’ancora, o ti sbarbino la bitta di aggancio o ti stacchino un pezzo di prua, allora puoi sostituire l’ancora con un secchio e farti portare dalla corrente. Se la barca è in movimento, non puoi rimanere sotto la vela, perché dovrai anche vedere dove cazzo vai a finire, allora potrai sfilare la vela e avvolgertela intorno al corpo e sopra la testa come un barracano africano. Sarà difficile da credere, ma in tutto questo non c’è niente di drammatico. Solo adrenalina allo sballo, come sulle montagne russe, come farsi scivolare da quaranta metri di altezza all’interno di un mezzo tubo che ti scarica in una vasca a una velocità travolgente – mi è capitato di farlo in un aquapark della Florida - la miglior terapia possibile per gli ingenui che vanno a cercarsi lo sballo nell’alcol, nelle discoteche, nell’ecstasy o in qualcosa di peggio. Va detto che le eventualità citate e le relative contromisure riguardano una barchetta in vetroresina di quattro metri, ovviamente senza cabina e senza un cazzo di posto dove ripararsi. Per uno sballo sano, si capisce a chi mi rivolgo, compratevene una e imparate a governarla. Non è difficile. Potete trovarla, di seconda mano, per poche centinaia di euro, e auguri di cuore. Se arriverete anche voi ad annusare istintivamente il tempo, di primo mattino, uscendo dalla porta di casa, potrete dire di avercela fatta. Mi sento sospeso di una ventina di centimetri mentre la terra mi ruota sotto i piedi, e tutto per colpa di un virus figlio di puttana che ha voluto privilegiarmi eleggendo i miei bronchi a residenza invernale. Spero tanto di averlo sfrattato, ammazzato, disintegrato. Oggi mi tocca l’ultima compressa, poi tornerò a farmi visitare. Spero in una sentenza di scarcerazione. La barca in cantiere ha bisogno dei paioli, di un appoggio per l’albero con la vela al terzo, di due bitte ad anello a poppa per farci scorrere la scotta, di sistemare la cima dell’albero per la vela latina che devo ancora ritagliare dal telone, insomma, di tante piccole cose, mentre io mi sto rompendo i coglioni in attesa di verdetto. Forse sto cominciando a rompere anch’io, ieri con il computer e oggi con la barca. Per fortuna mentre scrivo ascolto un brano di Schumann, che è come ascoltare le acque limpide di un torrentello da trote. L’impervio e imperscrutabile percorso della vita. Riflessione spontanea, quando si pensi che aveva cominciato con gli studi di giurisprudenza, abbandonati dopo un anno per dedicarsi al pianoforte. Una passione violenta. Con esercizi impossibili ai tasti si rovinò un dito e la carriera. Dal tormento emerse il compositore. Forse bisognerebbe evitare di chiedere ai bambini cosa faranno da grandi. Non è una domanda sensata. Per fortuna, loro non lo sanno. Mi piace scrivere ascoltando musica classica. Intendiamoci, sono tutt’altro che un intenditore, ma mi ritengo fortunato perché riesco a godermela lo stesso. E’ come per la pittura. Ci sono opere di artisti, celebrati dalla critica, per lo più intellettualoide, che non mi riscaldano neppure una cellula cerebrale, che non mi invitano che a uno sguardo di striscio, o che perfino mi fanno accelerare il passo. Naturalmente a causa della mia incompetenza. Ce ne sono altre, tuttavia, che starei ad osservare per ore, con istanti di vero godimento, malgrado la mia incompetenza. Sarà perché nutro forti sospetti verso l’arte intellettuale, anche perché stimola gli sproloqui degli intellettualoidi. Come diceva De Chirico, l’arte è contemplazione, godimento nella contemplazione. Lo stesso vale per la musica. Godimento ad ascoltarla, benché profani, o quasi. Per fortuna sembrano tutti d’accordo nel ritenere la musica asemantica, cioè senza significati. In caso contrario, non avremmo avuto speranze contro un oceano di interpretazioni filosofiche, psicologiche, sociologiche e politiche, e chi più ne ha più ne metta. Avrebbero anche potuto toglierci il gusto di ascoltarla.

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