venerdì 27 agosto 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì, 18 marzo 2010. Ci siamo. Alle quattro del pomeriggio ecografia al poliambulatorio e forse finirà l’itinerario del male. Male da virus, naturalmente. Quello da cui non riesco a guarire e non so quando ci riuscirò è l’ansia da computer. Sto facendo qualche piccolo progresso, ma avrei bisogno di un buon manuale, magari di quello per imbranati, ce n’è uno che si chiama così, ma non riesco a trovarlo. Ne ho trovato qualcuno, ma erano per Windows Vista o per Windows 7, di quelli per il mio Windows xp si sono perse le tracce. Per fortuna ho imparato a far funzionare un programma musicale che attenua pericolosi impulsi, dei quali il più ricorrente è quello di consumare una sporca vendetta contro questo scatolone sussiegoso, pieno di fili e congegni elettronici, e sbatterlo contro il muro. In questo momento sto ascoltando i gorgheggi di un’ottima tromba, che si cimenta in brani classici e d’opera e mi libera la mente da input autolesionistici. Ho sistemato la documentazione per avere il permesso d’ingresso al porto, marca da bollo € 14,62, non manca molto che dovremo applicarcela anche dietro il culo ad ogni evacuazione, sono andato in banca a fare provvista per il solito salasso annuale di socio della LNI e utente del pontile di attracco, è arrivato il tecnico della TV e mi ha fatto un preventivo di duecentocinquanta euro per riparare l’antenna, senza neppure sapermi dire se dopo la riparazione il Canale 5 smetterà di trasmettere tanti di fiocchi di neve, ho controllato nel portafoglio che ci sia il denaro per pagare il ticket per l’ecografia, ho comprato il tabacco, le cartine, filtri e bocchini, mi sento nei panni di…come si chiama?, quel comico che fa uno spot con la Incontrada e pare voglia imitare Briatore gettando via bigliettoni come carta straccia. A proposito, carina, Vanessa!, ma questo è un altro discorso. Come al solito, all’ASL non è andata liscia. Sono entrato alle tre e mezzo, l’appuntamento era per le quattro, e ho preso il mio numero di prenotazione. Numero sette. Sul display c’era il numero uno. Un solo impiegato allo sportello. Dopo mezz’ora, il numero tre. Quando il giro delle palle si è fatto vorticoso, mi sono avvicinato e ho chiesto di poter pagare il ticket dopo la visita, se no facevo tardi. Il giovanotto deve essersi sentito in colpa, perché ha subito acconsentito. Poi non ci sono più stati inghippi. Poco ci manca che il radiologo mi chieda che cazzo ci sono andato a fare. Per quanto cercasse, non gli riusciva di rintracciare linfonodi sospetti, tanto che alla fine li ha cercati perfino con le dita. Non ce n’erano. Quando sono andato a pagare il ticket, si era formata una lunga fila e allo sportello, sempre l’unico funzionante, operava lo stesso impiegato. Figurarsi se potevo aver voglia di riprendere il numero e aspettare il mio turno. Sono andato direttamente allo sportello, fornendo sommarie spiegazioni ai più vicini e ignorando gli accidenti dei più lontani e ho chiuso la pratica. Domani mattina vado dalla doc sperando di aver dato abbastanza, in fatto di malattie, almeno per tutto il 2010. Tocchiamo ferro, siamo italiani. Gli inglesi, invece, toccano legno. Se ne imparano di cose, girando per il mondo. Mi sono tanto disabituato all’attività fisica, in questo lungo periodo di inerzia, che muscoli, nervi, tendini e tutto quanto delegato al movimento delle braccia, delle gambe e di tutto il resto del corpo sembrano essersi scollegati dal cervello. Domani mattina alzati presto, dice il cervello, prima che si levi il vento, porta la barca a terra e gratta via quel mezzo quintale di vegetazione tutt’altro che lussureggiante sotto la carena. Me lo ha detto anche ieri sera, ma stamattina mi sono alzato alle nove e avevo ancora sonno. Poi mi dice che è tempo di provare la vela latina, che per poterla provare bisogna prima tagliarla e che è meglio andare a farlo sul posto, prendendo le misure direttamente dalla barca. Anche questo mi ha detto ieri sera, ma a dargli retta non ci pensavo nemmeno, trovavo perfino insopportabile il peso del mio corpo. Forse sto esagerando ma la verità è che non riesco più a muovere il culo. Può darsi che sia stato in apprensione per questa benedetta ecografia, con i linfonodi non si scherza, quando ci sono, ed è anche possibile che fino alle quattro di oggi abbia avuto il latte alle ginocchia. Visto che adesso è quasi ora di cena, che i linfonodi non ci sono e la tensione, se c’è stata, appartiene al passato, non ho più scuse. Domani taglio la vela latina. Sul posto. E non mi si dica che si tratta delle solite famous last words.

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