mercoledì 4 agosto 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Lunedì, 8 marzo 2010. Nuvole, continua a far freddo e mi manca il coraggio di uscire a prendere un po’ d’aria. Se mi torna la febbre mi butto dalla finestra. Un gesto simbolico, ho lo studio al pianterreno. La doc. ha chiesto a mia moglie se ho più fatto l’ecografia per i linfonodi. Le ha detto che ho un appuntamento per il 14 aprile. Si è incazzata. Linfonodi del cazzo. Devo fare un salto all’ASL e vedere di anticipare. Se mi presento con il referto, magari si da una calmata. Ieri sono andato al cinema e devo dire che mi sono divertito abbastanza. Sì, malgrado fosse uno degli ultimi film italiani, che, all’uscita, di solito, mi fanno chiedere che cazzo ci sono andato a fare. A parte qualche eccezione, gli attori italiani sono quello che sono. Ogni volta che vedo un film americano, mi viene da piangere, perché istintivamente faccio paragoni e cado in depressione. Siccome la speranza è dura a morire, per fortuna, continuo a vedere anche film italiani. Tornando al film di ieri ho imparato che a qualcuno può scureggiare (sic!) il cervello. Non solo colorita, come espressone, ma anche meritevole di esegesi. Spesso il linguaggio scurrile è più pregnante, più comunicativo. Vediamo di seguire un percorso consequenziale. Se ti scureggia il cervello cosa può uscirne? Di sicuro un gran tanfo, ma nella prospettiva di un futuro quasi immediato, anche merda. Quindi non puoi che pensare o diffondere stronzate. Efficace, sintetico. Perché mi vengono in mente tanti conduttori e conduttrici della TV? Ieri mi ha telefonato mio figlio per farmi sapere che la Biblioteca locale ha indetto un concorso per scrittori di romanzi gialli. Sono andato sul sito. Iscrizione gratuita e scadenza per la consegna dei dattiloscritti fissata per il 5 di giugno. C’è anche un premio di 1.000 euro per il vincitore. Più la gloria, naturalmente. Rimane poco tempo. Di seguito, nel bando, c’era un’informazione interessante circa il numero delle cartelle richieste. Non più di venti. Fattibile. Il fatto è che ho lasciato un romanzo a metà all’inizio della malattia e contavo di riprenderlo da un giorno all’altro, giusto per non perdere il feeling con i personaggi, e anche con la storia. Avevo trovato il modo di sbarazzarmi della testa di una russa decapitata e me lo sono dimenticato. Se aspetto ancora ne verrà fuori un’altra storia. Per giunta, questo diario è diventato una compagnia irrinunciabile, un amico capace di sopportarmi anche quando riesce difficile perfino a me. Un’interruzione sarebbe un tradimento. Dovrei curarmi anche di lui. Vediamo di che razza di giallo potrebbe trattarsi, e come si potrebbe riuscire a incastrare il crimine, l’indagine e la soluzione del caso in venti cartelle. Trenta righe di sessanta battute ciascuna. Occorre un caso semplice.
Una donna fa uccidere un ricattatore dal proprio amante e costruisce una serie di indizi per incolpare il marito. Il marito viene arrestato ma lui, l’investigatore, la inchioda al suo crimine.
Il marito uccide la moglie, ricca ereditiera, e costruisce una serie di indizi per far accusare un’amante scomoda che ha avuto violente discussioni con la moglie e l’ha minacciata di ucciderla davanti a testimoni. La donna viene arrestata ma lui, l’investigatore, inchioda il marito al suo crimine.
La moglie scopre che il marito ha inviato una mail alla sua migliore amica, giovane e anche lei sposata, ma è solo una finzione per spingere la moglie a reagire con violenza e compromettersi in pubblico. In realtà la vera amante dell’uomo è un’altra, molto vicina alla moglie, che con allusioni e insinuazioni la spinge a cadere nell’inganno. Il vero scopo dell’uomo e spingere le indagini per l’uccisione della moglie, crimine che ha già in mente di compiere, verso la sua migliore amica.
Tre trame quasi parallele, buttate giù di getto. Potrebbero anche risultare convincenti. Però mancano di suspence e mistero. Vediamo se mi viene in mente qualcosa di meglio.
Al primo piano di un edificio si rompe una finestra e i vetri cadono sulla strada. Dall’interno proviene un grido orribile e forti colpi, la cui origine è difficile da identificare. Qualcuno chiama la polizia, gli agenti raggiungono il primo piano, identificano la stanza, ma non riescono ad entrare. E’ chiusa. Dopo aver sfondato la porta notano che era stata chiusa dall’interno a due mandate e la chiave era ancora nella serratura. Sul pavimento giace un uomo. Non ha segni di violenza, non ha ferite di nessun genere. Sembra che dorma, ma è morto. La polizia brancola nel buio. Il fratello della vittima vuole saperne di più e si rivolge a un detective privato. Cinquant’anni, poliziotto detective in pensione. Ha un ufficio scalcinato, ma buone referenze. Viene a conoscenza, in qualche modo, dello stato della stanza e dei reperti. Ignote le cause del decesso. A parte i dettagli dei vetri rotti e della porta chiusa dall’interno, nella stanza c’erano una pennetta per computer, che poi era risultata priva di file, una scarpa da donna con il tacco alto, un biglietto da dieci euro proprio accanto al morto e un mazzo di chiavi. Apparentemente non erano stati trovati altri elementi di qualche interesse, tranne un paio di calze da donna, ancora ben chiuse nella confezione di cellophan in un cassetto. Il morto era scapolo e viveva da solo. Mistero e suspence non mancano, anzi. Mutatis mutandis, non resta che risolvere l’enigma in una ventina di cartelle.

Nessun commento:

Posta un commento