venerdì 21 ottobre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Mercoledì, 14 settembre 2010. Ieri l’altro ho voluto provare di nuovo la vela, quella di cotone, con il vecchio timone riesumato. Ci ho provato ieri mattina. Sono uscito in mare alle dieci. Due nodi di vento, forse meno. Ore undici, ancora due nodi, forse meno. Ore dodici, sempre due nodi, forse meno. Avrei dovuto portare le canne da pesca. Ci ho riprovato nel pomeriggio. Senza farla tanto lunga, non è arrivato un filo di vento e prova impossibile. Nuovo tentativo ieri mattina, verso le undici e mezzo. Onde in rapida successione, molto alte, che tiravano a diventare veri cavalloni. Le bandiere sembravano garrire al vento, ma solo da lontano. A guardarle da vicino, non erano molto convinte. Comunque sono uscito a motore, mi sono allontanato dal porto a sufficienza per non farmi fregare dal vento che soffiava proprio contro gli scogli. Naturalmente anche le onde correvano in quella direzione, ed erano anche più pericolose, ti spostavano di dieci metri ogni cinque secondi. Arresto il motore e mi alzo in piedi per issare la vela. Però manca qualcosa. Il vento. Neanche otto nodi. Era calato ancora dopo che ero uscito dal porto? In ogni caso, le onde venivano da lontano e niente avevano a che fare con quel vento sifilitico. Issare una vela su quelle onde con quel poco vento era come volersi fare una nuotata contro corrente nel Canale Villoresi. Per chi non lo conoscesse, si trova poco sopra Milano. Ho lavorato per sette mesi, a Milano. Vita frenetica. Al canale andavamo a rinfrescarci d’estate, quando in città si boccheggiava. Ci si tuffava da incoscienti e poi, il tempo di andar giù e di riemergere, avevi già fatto cinquanta metri e se non eri svelto ad aggrapparti ai ferri, in alto, che ancora uscivano dall’invaso in cemento armato, rischiavi di scorrere a valle per qualche chilometro. Qui avrei rischiato di trovarmi addosso agli scogli in meno di cinque minuti e sarei dovuto ricorrere al motore, ma in casi del genere il motore fa sempre cilecca. E’ una regola. Ogni sport comporta un elemento di rischio, anche quelli che si praticano da soli, senza spari alla partenza o sventolio di bandiere sugli striscioni. Farà ridere, ma perfino il jogging comporta qualche rischio. Ogni tanto c’è chi ci rimane stecchito. Valutare la situazione e vedere se non è meglio lasciar perdere e sperare migliori fortune per il giorno appresso. Ho riavviato il motore e sono tornato in porto. Se non ci rispettano gli altri, rispettiamoci almeno da soli, se della nostra vita sembra non freghi più niente a nessuno, vediamo di curarcene almeno noi stessi. Quando dico che della nostra vita non frega più a nessuno, non mi riferisco solo alla gente che viene ammazzata per strada, in casa, sul posto di lavoro durante qualche rapina, negli ospedali per trascuratezza o per incompetenza. Mi riferisco anche a chi perde la vita in competizioni sportive. Lo spettacolo deve andare avanti. In Qatar un giovane centauro di diciannove anni è rimasto schiacciato da due moto che lo hanno investito alla velocità di duecentocinquanta Km. all’ora. Tutto documentato con foto e riprese filmate. Agghiacciante. Con il bacino, lo stomaco e il torace schiacciati è stato portato all’ospedale, incredibilmente ancora vivo, ma è stata questione di un’ora. Poi è morto. Gli organizzatori sapevano che sarebbe morto di lì a poco, ne hanno anche avuto la conferma un’ora più tardi. A nessuno è venuto in mente di fermare la corsa e lo spettacolo è andato avanti fino alla fine. “Non c’era pericolo per gli altri”, questa la motivazione. Forse la morte di un diciannovenne avrebbe meritato maggiore attenzione. Comincio a pensare che su questa terra siamo davvero in troppi e che guerre e terremoti, maremoti ed eruzioni vulcaniche, inondazioni, o meglio esondazioni, come piace divulgare ai media, non siano più sufficienti a ristabilire un equilibrio sempre più distante. Parallelamente all’attivarsi di un meccanismo di autodistruzione, deve anche essersi sviluppato un senso di noncuranza verso le morti violente. Se è vero, si è trattato di un processo inconscio. Il pericolo si presenterà alla naturale conclusione del medesimo, quando ne prenderemo coscienza. Auguriamoci che non arrivi il giorno in cui si esulterà al grido – Uno di meno!- Ieri pomeriggio ho fatto un nuovo tentativo, con una quindicina di nodi, con il risultato che la barca andava bene con le mura a destra e malissimo con le mura a sinistra. Mi sono scervellato per capirci qualcosa, poi stanotte ho avuto una specie di rivelazione. Eliminare la trozza e avanzare gli attacchi dell’argano sui bordi. Stamattina ci ho riprovato. Non è andata male, diciamo meglio di sempre. Dovrò lavorarci ancora un po’.

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