lunedì 3 ottobre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Lunedì, 30 agosto 2010. Giornata di pioggia e di sole. La temperatura si è abbassata. Sollievo generale. Sono curioso di sentire cosa diranno quando farà freddo. Sembra che la protesta sia un bisogno primario dell’umanità. Vuoi o non vuoi, malgrado tutto il progresso tecnologico, non c’è scampo, tocca all’uomo adeguarsi alla natura. Dio ci scampi, se dovesse mai accadere il contrario. Sopravvivere a una natura superba, avara, lussuriosa, invidiosa, iraconda, accidiosa e disonesta sarebbe molto al di sopra delle umane forze. Dunque, adeguiamoci. Copriamoci con il freddo e scopriamoci con il caldo. Immergiamoci nei laghi, nei fiumi, nel mare, se scoprirsi non basta, trastulliamoci con il ronzio dei condizionatori, ma non protestiamo. Intabarriamoci dentro cappotti, giubbetti e piumini, soffochiamoci con il riscaldamento centrale, ma per favore non protestiamo se fa freddo. Diamoci un’occhiata attorno, un’occhiata attenta. Protestare per il caldo o il freddo, è una mancanza di rispetto per chi i guai ce li ha per davvero. Ma soprattutto non protestate perché mi sono stufato di sentire e mi sono rotto i coglioni! Chiarito il punto, passiamo a un bisogno secondario. Le gite. Sinonimo di vacanze, relax, divertimento. A Mosca mi sono sentito dire dalle assistenti dell’agenzia che avevamo un’ora per la pausa pranzo. Chiarisco. Appena arrivati, ci hanno subito informato che c’erano escursioni incluse nel prezzo e altre, facoltative, a pagamento. Avrebbero specificato gli orari nella bacheca speciale dell’albergo. Finita la prima escursione al mattino, siamo rientrati alle due per il pranzo, poi siamo andati a vedere l’orario per quella facoltativa, per la quale il pagamento era stato effettuato in anticipo, in mattinata. Partenza ore tre. Quando ho detto all’assistente che non ce la sentivamo di ripartire con il pranzo ancora mal digerito, e avremmo preferito cambiare con l’escursione notturna, prevista per dopo cena, mi ha quasi riso in faccia specificando che la pausa pranzo era di un’ora e che non era possibile lo spostamento. Avrei voluto dirle che non ero andato a Mosca per fare il muratore, ma aveva la faccia da stronza e me lo sono risparmiato. Alle tre mi ha pure telefonato in camera, per avvertire che stavano partendo. Quando le ho ricordato il nostro infelice dialogo di poco prima ha detto –O.K. allora lei e sua moglie non venite!- Le ho detto che non era per niente OK, che avrebbe dovuto richiamare prima la mia attenzione sull’esiguo divario tra il pranzo e la ripartenza e avrei anche voluto aggiungere brutta stronza! , ma anche stavolta me lo sono risparmiato. Nello stesso inconveniente devono essere incappati anche altri, perché da quel giorno le gite facoltative sono state sabotate a sangue e lo stereotipato sorriso delle assistenti ha perso vigore e molto del suo smalto originario. Ritengo che abbiano visto andare in fumo grosse percentuali. Verso la fine del soggiorno a Mosca, le signorine ci hanno graziosamente informato che è consuetudine, da quelle parti, lasciare una mancia per la guida e per l’autista. Quindici e quindici a cranio, per noi sessanta euro in totale. Considerando che ci aspettavano altri tre giorni a San Pietroburgo, un’altra guida e un altro autista, e alla fine avremmo sborsato centoventi euro di mancia, ho cominciato a pensare che qualcuno fosse andato fuori di testa. Ho tastato un po’ il terreno e anche gli altri la pensavano come me. Tacitamente abbiamo deciso per una mancia a discrezione e tanti saluti. Viaggio istruttivo. Dopo il sabotaggio delle gite a pagamento e la drastica riduzione delle mance faraoniche potremmo redigere un manuale di istruzioni su come rendere inoffensive assistenti di viaggio avide. Con il russo me la sono cavata abbastanza, anche perché non ho dovuto chiamarlo in causa molto spesso. Alla reception e nei negozi, contrariamente a quanto accadeva una quindicina di anni fa, parlavano molto bene l’inglese. Per lo più, se mi sono dovuto servire del russo, è stato in albergo con le donne delle pulizie. Devo dire che ha avuto una funzione fondamentale, perché a volte venivano quando eravamo ancora in camera, e dovevo spiegare a che ora saremmo usciti e quando saremmo tornati, in modo che sapessero regolarsi e non lasciassero la camera disfatta e soprattutto senza asciugamani puliti. Ho avuto anche modo di constatare, nel mio russo, delle falle abissali. Quindici anni di totale abbandono. Sono stato un disgraziato, lo confesso e me ne pento. Tanto che ho ripreso in mano dei vecchi appunti. Mi sono costati sudore e sangue, ma risvegliano anche tanti bei ricordi. Alternanza di gioia e sofferenza, il trucco divino che ti consente di vivere. E’ un vecchio detto che chi conosce un’altra lingua, oltre la propria, vale per due persone. Io dovrei valerne sei, se le conoscessi tutte allo stesso livello e quel detto non fosse sfacciatamente esagerato. Ci sono situazioni, però, in cui rischi esaltazioni pericolose. Se in un gruppo sei l’unico a conoscere la lingua del posto, o anche soltanto l’inglese, ti senti guardato con rispetto, ammirazione e anche un po’ di invidia. Di fronte a ogni ostacolo, specie se si tratta di un contrattempo, gli altri si aggrappano a te come a un salvagente. Di colpo ti fanno sentire importante e rischi di sentirti tale davvero. Per quel che mi riguarda, non c’è pericolo. Mi basta pensare a come mi sento davanti a un computer che fa i capricci.

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