lunedì 21 giugno 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Lunedì, 15 febbraio 2010
Stamattina l’infermiera era in stato di grazia e mi ha infilzato con delicatezza. La volta scorsa, invece, mi ha fatto male. Gliel’ho detto e mi ha risposto che ficcare un ago di acciaio dentro una vena non può far bene. Mi ha ammutolito. Anche questa deve avere il DNA sovraccarico di incazzature e rivendicazioni secolari. Per di più è armata e poco propensa a discutere. Meglio fare il paziente e non andarsi a cercare un buco fuori vena. Quello che ti fa girare le scatole, mentre aspetti il tuo turno per farti bucare, è che c’è sempre qualcuno convinto di non dover fare la fila. Arrivano e vanno direttamente alla porta, chiusa con tanto di avviso di non disturbare, senza degnare di uno sguardo chi lo precede con tanto di numero in mano. La legge dovrebbe quantificare un limite di condotta, oltre il quale sia consentito prendere gli stronzi a calci in culo. Capisco perfettamente che non può essere un reale suggerimento ma solo un pio desiderio, non fosse che per la difficoltà di una quantificazione oggettiva. In proposito, comunque, conto sui progressi della scienza e mi riservo qualche speranza per il futuro. Un’altra circostanza che causa improvvisa accelerazione delle pulsazioni, vale a dire arrabbiatura, irritazione, e almeno per una volta evitiamo di abusare del solito termine che un tempo era da ascriversi a volgarità, è lo svuotamento totale dell’ambulatorio, giusto nel momento in cui arriva il tuo turno. Mai capitato? Si apre la porta, esce il paziente che ti precedeva, e fai per entrare. E’ il momento in cui finisce l’attesa, che è sempre una piccola angoscia, un’ansia inevitabile, il momento in cui ti ripaga una piccola sensazione di sollievo. Invece, dietro al paziente esce tutto lo staff, l’ambulatorio resta vuoto e tu rimani sulla porta a chiederti che cazzo devi fare. Naturalmente la normalità si ripristina dopo qualche minuto, ma ormai quel piccolo senso di sollievo che ti risarciva dell’ansia dell’attesa è perduto per sempre. E’ strano come possa cambiare l’impressione che hai della gente. La volta scorsa mi era parsa antipatica, stamattina mi è parsa simpatica. Parlo dell’infermiera. Mi ha pure dedicato qualche minuto per spiegarmi come potevo avere il referto un po’ prima. Mi pare che abbia pure sorriso. Chissà cosa pensa di noi chi ci ha conosciuto quando non eravamo al meglio delle nostre possibilità. Probabilmente ha conosciuto una persona diversa. Oppure quella vera. Meglio non indagare sull’opinione più diffusa nei nostri confronti. Il rischio è sorpresa, delusione. Personalmente me ne frego e consiglio chi vuole vivere tranquillo di fare altrettanto. Tornando all’infermiera, per esempio, la mia prima impressione negativa sta regredendo, ma la realtà è che non sempre abbiamo una seconda occasione. Concludendo, meglio fregarsene. Viviamo in tempi in cui le donne non accettano di essere più deboli degli uomini, né di muscoli, né di cervello. Prosperano i corsi di autodifesa riservati al gentil sesso, si fa per dire, con lezioni di judo, ju-jitsu e karate, a pagamento e gratuiti, istituiti perfino dalle amministrazioni comunali, con tanti sinceri auguri agli sfigati che coinvolgeranno in alterchi queste leggiadre killer per qualche incidente d’auto o pericolose divergenze di opinione. Il fatto che le donne non abbiano cervello è un vecchio ritornello maschilista, che viene spesso riproposto, malgrado smentito da secoli dai relativi studi anatomici. Era più facile sostenere che non avessero un’anima. Il cervello delle donne è in realtà più piccolo di quello degli uomini, ma non tanto da poterne sostenere la completa assenza. Anzi, pare che nel rapporto qualità-quantità non siano sfavorite. Torniamo a Shakespeare e alla consapevolezza dell’ignoto, dopo la morte, che ci rende codardi. Per contro, la consapevolezza delle proprie capacità rende coraggiosi e induce ad osare. Di donne manager ce ne sono già tante, in tutti i settori dell’industria e della pubblica amministrazione, ma di recente si è scatenato un vento impetuoso che vuole altre donne leader, perché le donne vogliono essere comandate dalle donne e quelle al vertice vogliono altre donne ai vertici della politica, insomma la competizione con i maschietti vola rapida verso il suo massimo storico. Sono pronte, sono in grado di decidere, e affollano i corsi per donne leader, pronte a liberarsi di obsoleti modelli culturali, decise a stringere i tempi della preparazione per potersi cimentare sul campo. Che fine hanno fatto gli sciupafemmine? Le ragazze romantiche, sognatrici, felici di essere baciate, e magari anche scopate in una sera col chiaro di luna, senza un’idea chiara di un orgasmo, sono finite. Al loro posto ci sono virago in pantaloni aderenti, stivalate e spesso anche motorizzate, che per prima cosa ti studiano la zona inguinale per constatare de visu cos’hai da offrire. A letto, sanno esattamente cosa vogliono e pretendono fior di prestazioni e di orgasmi. Così gli sciupafemmine sono entrati in una crisi autodistruttiva. Temono di non essere all’altezza, di finire nel cestino come carta straccia e soffrono di ansia da prestazione e finiscono per cercare rifugio sul divano dello psicanalista. C’era un tempo in cui le donne erano il sale e lo zucchero della terra. E adesso?

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