sabato 12 febbraio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Domenica, 6 giugno 2010
Purtroppo, ma anche per fortuna, in questo pazzo mondo tutto ha un principio e una fine. Ieri ho spostato l’albero e il tormentone con la vela è finito. In fondo, lo sapevo che mi stavo complicando l’esistenza solo perché non avevo voglia di spostare l’albero. Sapevo anche che una piccola fatica ti può risparmiare tante incazzature, ma pare che saperlo non basti. Pigrizia e testardaggine, insieme, possono convincerti che due più due faccia cinque, o anche tre. Forse anche il coro dei lamenti, dei perenni scontenti che protestano e ce l’hanno sempre con qualcuno scaturisce dall’indolenza e dall’ostinazione ad escludere il quattro, se il tre o il cinque costano meno fatica. Invece due più due fa sempre quattro, a meno che non si tratti di letteratura, parlo del Big Brother, quello di Orwell, dove gli attivisti di un partito torturano i dissidenti fin quando non si convincono che il risultato è davvero cinque. Capita di ignorare delle certezze, anche nella politica, per esempio. Dopo gli ultimi siluramenti dei leader di sinistra, Bersani sta predicando per ritrovare il principio dell’unità di partito, di cui certo conosceva l’importanza quando ha piazzato, con altri congiurati, una bomba sotto il culo di Veltrone. Non credo che Veltrone glielo abbia perdonato. Dall’altro versante, Fini continua a gorgheggiare dissenso malgrado il Cavaliere abbia scandito che si è stufato del controcanto. Il leit-motiv delle alleanze in politica è sempre lo stesso: Idillio, matrimonio, divorzio. A questo punto, se Veltrone si mette a remare contro, chissà che Bersani non stringa alleanza con i finiani. Niente è impossibile, in politica, ma, assicurano, sempre nell’interesse degli italiani. Purtroppo il concetto di italianità è contraddittorio. Prendiamo Briatore, per esempio, che, toccato nel profondo del suo senso patriottico dalla coraggiosa, ormai famosa frase –Guardate come muore un italiano-.elargisce un vitalizio alla madre di Quattrocchi, assassinato dagli islamici. Dopo l’ormai nota vicenda del sequestro del suo, o non suo, yacht, gli è scappato detto che si vergogna di essere italiano. Non c’è che dire, siamo contraddittori. Prendiamo Roma, dove i romani non si chiamano più Muzio Scevola o Attilio Regolo, parlo della capitale d’Italia, Bossi permettendo. Davanti ai maxischermi della finale Champions i romani si sono scoperti anche un po’ crucchi e hanno tifato Bayern. Incolpevoli reminiscenze di appartenenza al Sacro Romano Impero, in realtà più tedesco che romano, reminiscenze di invasioni dei popoli nordici, o dell’occupazione tedesca dopo l’8 settembre, chi più ne ha più ne metta, anche a costo di sfidare la logica, tutto questo in un difficile tentativo di perdono. Se invece hanno ignorato che l’Inter è squadra italiana, per il solo fatto che gli ha sfilato dalle mani Coppa Italia e campionato, allora il concetto di italianità potrebbe, in determinate occasioni, risultare, oltre che contraddittorio, anche vago. Capita di rado, ma a volte i politici fanno anche qualcosa di buono. Prendiamo una notizia di questi giorni, il decreto per dimezzare i fondi ai partiti. Peccato che con un altro decreto, nell’ambito dei tagli agli sprechi, non si possano dimezzare anche i partiti. Non si potrebbero dimezzare anche i giornali, visto che con questo diritto all’informazione hanno proprio rotto i coglioni? Chi la vuole l’informazione, se sempre più spesso si limita al pettegolezzo? Ma forse mi sono perso qualche battuta, è anche possibile che ormai il pettegolezzo sia diventato informazione e che abbiano ragione loro. E’ questione di saper educare il lettore. Non si era mai sentito il popolo, in Italia, appellarsi al presidente della repubblica per osteggiare una legge. Di certo qualcuno ha informato il popolo che le leggi non passano senza la firma del presidente, anche se non è proprio così. Da qui gli appelli, le grida, i manifesti per indurlo a non firmare. Nella furia di tale casino, naturalmente si parla delle intercettazioni, Napolitano non ha perso la testa e resta aggrappato a tre appigli sicuri. Garantire il diritto alle indagini, rispetto della privacy e libertà di stampa. Ma sono davvero sicuri? Indagini che rispettino la privacy sono un controsenso, perché non può esistere un’indagine senza violazione della privacy. Per quanto riguarda la stampa, quando mai ha rispettato la privacy? Tutta l’Italia conosce il culo della Merkel, fotografato a distanza durante il cambio del costume da bagno e divulgato sulla carta stampata in tutto il paese e forse anche all’estero. La privacy viene scrupolosamente rispettata dove più rompe le scatole al cittadino. Se chiedi un’informazione in un qualsiasi pubblico ufficio per tua figlia, che non può muoversi perché bloccata a letto con un’ingessatura che le impedisce perfino di parlare, dico, sei ammattito, c’è la privacy. Se vai a visitare un ammalato all’ospedale e chiedi in portineria dove si trovi, sei ammattito, c’è la privacy. Insomma, con la privacy ci sbatti la faccia dappertutto, tranne che sulla stampa. Mi è capitato di leggere una notizia sconvolgente. La Busi si dimette perché non si riconosce nel TG1. La prima reazione che mi viene in mente sarebbe E chi se ne frega! La seconda, invece, mi conferma la quotidiana presa per il culo. Che vuol dire che la Busi non si riconosce nel TG1? Che al TG1 vengano sottratte notizie oppure che le stesse vengano manipolate e che la manipolazione, nel caso in oggetto, non sia di gradimento della Busi, che ne gradirebbe una diversa, più in linea con le proprie credenze e divinità. Con tutto il rispetto che davvero lei merita, signor Presidente, le auguro di venire fuori tutto intero da questo pasticcio

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