venerdì 25 febbraio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Sabato, 18 giugno 2010
L’energia nucleare ci ammazza con le scorie, Internet è un settore operativo della criminalità, anche di quella minorile, la pubblicità televisiva è un tornado che sta spazzando via la dignità e ogni capacità critica e di autodeterminazione. Insomma, non ci sono più dubbi. Ogni scoperta epocale si porta dietro un carico di merda epocale. E’ solo una riflessione spicciola, che non serve a niente, tanto nessuno ci può far niente. Serve solo a incazzarsi, diritto inalienabile di chi è impotente nel constatare che l’umanità, se il mondo non finirà nel 2012, finirà comunque per affogare nella propria merda. In una società che ti spersonalizza e ti risucchia in un processo a ritroso fino all’inesistenza, incazzatura è anche consapevolezza della propria esistenza. Ai vari cogito, ergo sum o dubito, ergo sum descartiani, aggiungo, senza ombra di presunzione, mi incazzo, ergo sum. Sono di cattivo umore, è l’umore a indicare la strada ai pensieri, e se i miei sono impantanati nella merda è colpa di uno spot televisivo. Se ti vengono a dire che sei un troglodita, che appartieni alla preistoria e che devi deciderti a metterti al passo con i tempi scegliendo a occhi chiusi un certo prodotto trendy, è facile che ti incazzi, ancor più se di quel prodotto non ti è mai fregato niente, non ti frega niente e non ti fregherà mai niente. Un minimo di rispetto dico, per il libero arbitrio e una già molto risicata libertà di scelta. Insultare la gente sfacciatamente e impunemente pare sia permesso solo alla televisione. E ci paghiamo pure il canone. Personalmente, voglio essere libero di vestirmi di stracci, se mi va di farlo, di indossare scarpe vecchie e fuori moda, di andare a vedere pellicole che non piacciono a nessuno, di snobbare i film pseudointellettuali, di snobbare comizi politici contrabbandati per spettacoli teatrali, di aborrire ogni forma di idealismo, sia di quelli già presi a calci in culo dalla storia, sia di quelli attuali e alla moda, e si può capire cosa mi si scatena dentro se qualcuno mi insulta perché non faccio come dice lui. Esercitare il diritto di decidere non è neanche facile. E’ facile decidere se prendersi un caffè oppure un calcio sui denti, ma questa non è una decisione. Decidere vuol dire scegliere fra vari percorsi, che vengono offerti in alternativa l’uno all’atro, prevedendo, per tale scelta, un maggiore vantaggio o un minore svantaggio presente e futuro. Sembrerebbe facile, se non entrassero in gioco elementi come la fiducia, le probabilità, i valori personali e altro ancora. Ci sono decisioni apparentemente insignificanti, capaci di rovinarti le giornate. Sulla sinistra ci sono due strade laterali, una di seguito all’altra, per raggiungere il lungomare. Superi la prima perché hai scelto inconsciamente la seconda, senza neanche renderti conto che in quel momento stavi prendendo una decisione. Entri nella stradina e dopo trenta metri devi fermarti dietro un TIR irrimediabilmente incastrato fra due file di auto in sosta. Un paio di auto sono già ferme dietro di te e non c’è via di scampo. Si può quasi concludere che ogni decisione è un’esperienza di vita indispensabile. Più ci lascia insoddisfatti, più ci consente di imparare. Quanto agli stronzi che ti tacciano da troglodita perché non li lasci decidere per te, che se ne vadano tutti insieme in quel paese dove il sindaco era un amico dell’Albertone nazionale. Ho appena finito di vedere il match con la Nuova Zelanda. No comment. La pubblicità, poi subito Mazzocchi. Appare in grande spolvero e non gli basta la voce per commentare che l’Italia è stata inconcludente e che doveva fare di più e che adesso deve battere assolutamente la Slovacchia o siamo fuori. Stavolta non ha detto che sarà facile. Trenta secondi per arricchirmi di tali rivelazioni, poi ho spento. Beh, siamo in un guaio. Speriamo che Lippi si sia portato dietro un cilindro e un coniglietto. La stampa comincia a presentare il resoconto dei non ammessi agli esami di maturità. Fino a qualche anno fa il concetto di non ammesso era inesistente, ma lo era solo per crassa, supina e comoda ignoranza. Il concetto esisteva una volta, e come se esisteva, e allora la scuola italiana forniva gli elementi migliori a livello europeo e ben oltre. Poi è stato un succedersi di geni della didattica, della psicologia e del cambiamento, di inserimenti nelle classi di extracomunitari che non conoscevano una parola di italiano, il concetto di non ammesso è diventato quasi un reato di pensiero e la scuola italiana è sprofondata al terz’ultimo posto in Europa. Ritengo molto probabile che negli ultimi anni possiamo anche aver toccato il fondo. Nascosto fra le righe, nei resoconti dei giornali, si percepisce un senso di disapprovazione, le percentuali dei non ammessi ti vengono sbattute in faccia come dati inaccettabili, quei poveri ragazzi, solo perché non hanno studiato, non sono stati ammessi a sostenere l’esame. E’ tutto così scialbo. Pare che la società abbia definitivamente messo al bando il senso di responsabilità. Quella verso sé stessi, per cominciare. Quanto a quella verso gli altri, meglio lasciar perdere.

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