sabato 1 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Domenica, 2 maggio 2010
Ho provato e riprovato la vela approfittando del bel tempo. Non è andata bene, ma in compenso mi è passata la tosse. Iodio, ossigeno e aria di mare, meglio di cento sciroppi. Non sono riuscito a trovare il punto giusto dove fissare il pennone. Per quanto abbia provato, la barca non ha voluto saperne di un minimo di bolina. Il motore andava bene e non ho avuto problemi per il rientro. Per di più, dai e ridai, alla fine si è strappato il triangolino che regge il bozzello della scotta. So che è fatta con un telone e di conseguenza non mi è neanche venuto da smoccolare. Me la sono portata a casa, ho tagliato via il lembo sfrangiato e ci ho incollato un adesivo di rinforzo, poi la mia insostituibile parente merciaia ci ha piazzato di nuovo un occhiello. Ci riprovo alla prossima giornata di sole. Abbiamo trascorso il primo di maggio a otto chilometri da casa, in un vecchio cascinale dove organizzano feste paesane e feste contadine, tipo giornata della vendemmia e altre. C’è un’atmosfera di fine ottocento, gente che passeggia e conversa, tavoli all’aperto, non accatastati ma piuttosto distanti l’uno dall’altro, dove le famiglie siedono e si godono l’aria aperta in attesa di essere servite da camerieri in camicia bianca che sembrano sfiorare l’erba. Una buona varietà di cibo genuino e prezzi molto ragionevoli. La prima nota stonata è stata una cassiera. Siccome siamo andati a prenotare con un po’ di anticipo per evitare la fila, ci ha sommersi in un fiume di parole per farci sapere che non si veniva serviti in base all’ordine di prenotazione, che lei la sapeva lunga sul comportamento della gente, che era abituata a contestazioni del genere, che avrebbe voluto evitare discussioni spiacevoli. Tutto questo senza rifiatare un secondo e senza lasciarci il tempo di parlare, se non per dirle che eravamo venuti a goderci la giornata e non avevamo nessuna intenzione di altercare. Poi c’è stata una breve discussione fra me e mio figlio che insisteva per voler pagare e a questo punto la logorroica ha ripreso soddisfatta la parola. Secondo lei quelle poche frasi scambiate tra noi per tutt’altro motivo dimostravano che aveva ragione a prevedere che avremmo discusso. Ci siamo scambiati una sguardo interrogativo, evitando di replicare. A parte l’insignificante battibecco con la cassiera, tutto il resto si preannunciava come un’esperienza bucolica molto rilassante. Invece no. Mia nuora, che è vegetariana, ha trovato almeno una mezza salsiccia in un piatto di asparagi al parmigiano, dove le avevano assicurato che non c’era ombra di carne, e si è sentita male. Mia moglie, all’improvviso, ha accusato un mal di gola selvaggio e ho dovuto ricondurla a casa con trentotto e mezzo di febbre. Sono rientrato che mi stavo ancora chiedendo che cazzo era successo. Ma la risposta è sempre la stessa. A noi, razza umana, indiscussa signora di tutte le specie animali, non è dato programmare neanche dieci minuti del nostro futuro. Neanche uno. C’è chi vorrebbe perfino conoscerlo, il futuro. C’è chi paga decine di migliaia di euro a un esercito di mezzi busti millantatori per conoscere il futuro. Una buona parte di quei soldi potrebbero essere risparmiati. C’è un futuro individuale e un futuro collettivo e l’uno non può prescindere completamente dall’altro, e si potrebbe cominciare a lavorare per deduzione, tenendo conto degli accadimenti al presente, su quello che potrà essere il futuro collettivo. Non appare un compito difficile, considerando che la metà del pianeta è bruciato dalle guerre, che vengono accolte quasi con indifferenza le catastrofi ecologiche, anche inimmaginabili come quella che sta devastando le coste della Luisiana, che l’atmosfera sta diventando irrespirabile e sempre più responsabile di una caterva di cancri che ormai sono una pioggia inarrestabile, che investire una persona, o anche una decina, in stato di ebbrezza non è quasi più un reato, al massimo una grave disattenzione come si fosse investita una gallina, che i suicidi cominciano a soffrire di solitudine e sempre più spesso si portano all’altro mondo qualche familiare, che i posti di lavoro sono un miraggio, che i fallimenti societari sono diventati zuccherini quando intere nazioni sono sull’orlo della bancarotta, che coltelli e pistole a portata di mano abbreviano notevolmente la durata delle discussioni, che nessuno ha più voglia di giudicare sé stesso e riconoscere i propri torti, che ad attribuire la ragione o il torto non c’è una giustizia equanime e inflessibile ma una legge, pur piena di buoni propositi, appannaggio di una manica di legulei. L’elenco non è finito, naturalmente, ma c’è materiale sufficiente per una serie di deduzioni e uno sguardo d’insieme sull’orizzonte. E’ tuttavia probabile che a questo punto la curiosità sia svanita e ci basti augurarci che non arrivi niente di peggio, e siccome il futuro individuale non può prescindere del tutto da quello collettivo, a chi vuole ancora conoscerlo, tanti auguri.

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