martedì 11 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Sabato, 22 maggio, 2010
Qualcuno si è stufato di pagare i ticket e ha pensato a un rimborso direttamente dalla cassaforte del poliambulatorio dell’ASL. Ci sono capitato stamattina. Davanti all’ingresso stazionava un’auto della polizia e mi sono chiesto che ci stesse a fare. Anche i poliziotti si ammalano, è naturale, ma non vanno al poliambulatorio con l’auto di servizio. Entrando ne ho visti un paio, in divisa. Stavano interrogando il personale e prendevano appunti. In nottata c’era stato un tentativo di scasso. L’allarme non aveva funzionato, ma la cassaforte aveva resistito alla grande. Capita che il crimine non paghi, perfino di questi tempi. Le infermiere erano in fermento, un po’ scherzando e un po’ sul serio, perché gli agenti chiedevano chi fosse stata la prima ad entrare in mattinata, mentre sul capo dei ladri piovevano le imprecazioni di chi era in fila agli sportelli. Ovvia la precedenza alle indagini,
ma quei poveracci dovevano proprio sentirsi sfigati senza speranza. Sta per venire alla luce il mio Blog, dove ho intenzione di condividere queste righe con altri nessuno qualsiasi. Con la gente comune, si usa dire in TV, ma se andiamo a scavare fino in fondo la gente comune è l’opposto dei VIP, è gente che non va a passare le vacanze a Porto Cervo. Ci siamo capiti. Considerando che in passato anche il voto era una questione di censo, siamo progrediti. Oggi, in difetto, si deve solo accettare l’appellativo di gente comune. Ma anche sul trono più elevato del mondo, si è sempre seduti sul proprio sedere. Dai tempi di Montaigne, le cose non sono cambiate. Avevo intenzione di provare la vela ma fuori c’è un accumulo di cumuli poco rassicurante e una Tramontana che ormai avrà reso il mare una schiuma. Farò un salto al pontile più tardi, a controllare le cime d’attracco. Siamo a maggio inoltrato e ho la sensazione che sia ancora gennaio e le bizze del meteo non c’entrano, mi sento poco attivo e non riesco a darmi una spiegazione. Eppure qualcosa avrò fatto in quasi cinque mesi. Dovrò rileggermi questo diario dalla prima pagina cercando di infilare un segnalibro dove riscontro qualche genere di attività. La domanda è: Ho vissuto in questi cinque mesi? Dovrò darmi una risposta, o rischio di arrivare alla fine dell’anno e pormi la stessa domanda per un periodo di dodici mesi. Di certo non sono stato creativo, ho desiderato in modo insufficiente, e non è stato un gran vivere. In qualche modo può aver influito quel disgraziato di virus che mi sento ancora nei bronchi. Non è vero che abbiamo poco tempo, diceva Seneca, la verità é che ne perdiamo molto, e credo che avrebbe ritenuto la faccenda del virus una scusa puerile. A nessuna ragione si deve permettere di distoglierci dal vivere. Ecco il nostro errore, mi ispiro ancora a Seneca, vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dovremmo rifletterci. Se moriamo, anche se solo in parte, alla fine di ogni giorno, almeno avremmo dovuto cercare di viverlo. Pare che sia imminente una grandinata di tasse. Ci sono discussioni convulse a Palazzo, ma pare che sia proprio inevitabile. L’Europa lo vuole, dice che i conti non tornano. Nui chiniam la testa al Massimo Fattor, scriveva Manzoni, e pare proprio che di questi tempi il massimo fattor sia diventato l’Europa. Non quella dove ormai, dopo secoli di guerre, sembra essersi stabilita la pace in pianta stabile, quella senza confini, senza passaporti e senza dogane, quella in cui milioni di persone possono sentirsi meno stranieri gli uni verso gli altri, dove ci si avvia lentamente, se non a una vera osmosi, almeno a una sempre maggiore tolleranza delle diversità materiali, di quelle di poco conto, vedi la cucina, il modo di vestire e le scarpe da indossare, ma anche di quelle spirituali, retaggio di scrittori e filosofi che vivevano in climi diversi, oppressi dalle nuvole o aperti alla luce del sole, e di conseguenza potevano essere più o meno inclini a una visione pessimistica o invece ottimistica del mondo. Quella che mi sta un po’ sullo stomaco è un’Europa impositiva, quella che fa continuamente i conti e ogni tanto spara sentenze sul PIL, sulle tasse, sui salvagente. Capisco, menzionare i salvagente sull’onda del PIL e delle tasse crea uno stridore fastidioso, ma non è fuori luogo. L’anno scorso ho acquistato due salvagente al prezzo di quattordici euro ciascuno per un totale di ventotto euro. Aggiungo che sono stato costretto ad acquistarli, perché quelli che avevo erano stati dichiarati fuorilegge. Così, da un giorno all’altro. Uno è ancora nel cellophan. Quest’anno ne è stato omologato un tipo diverso, pare per regolamentazione europea, almeno così mi hanno spiegato alla Lega Navale. Di conseguenza dovrò comprarne un paio di nuovi, che costano almeno il doppio, disfarmi di quelli acquistati lo scorso anno, uno ancora cellophanato, con il ragionevole dubbio che qualcuno ci provi gusto a farmi incazzare perché i miei soldi (euro) se ne vanno a puttane. Stavo parlando di tasse. Vediamo come va a finire. Speriamo solo che a nessun ministro venga ancora in mente di dire che le tasse sono una bella cosa. Sarebbero una buona cosa, se in TV non ci mostrassero in continuazione edifici per ospedali portati a termine e non, comunque mai utilizzati e abbandonati e alle ortiche, enormi impianti per il tempo libero, edifici pubblici per le destinazioni più diverse, costati all’epoca miliardi e miliardi di lire e attualmente milioni di euro, vittime di uno stesso destino. E’ evidente che almeno una parte di quelle tasse che dovrebbero essere una cosa bella non vengono usate per il bene dei cittadini. Cui prodest? Domanda da un milione di dollari, cui solo in pochi possono dare risposta. Di conseguenza, e torniamo a Platone, se non c’è bene, non ci può essere il bello, perciò non c’è da meravigliarsi se l’espressione le tasse sono una bella cosa appare poco condivisa. Nel frattempo, meglio provvedersi di un ombrello robusto.

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