sabato 8 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì, 13 maggio 2010
Stamane il cielo era un po’ coperto, il sole sbucava a tratti e non faceva freddo. Per prima cosa sono andato a recuperare il cellulare, rispedito in ditta dal concessionario per un qualche guasto dopo un paio di mesi dall’acquisto. La commessa ha razzolato un pochino in uno scatolone e l’ha tirato fuori, poi con un sorriso connivente me lo ha mostrato. Incredibile, non ci contavo, anche se lo avevo riconsegnato da tempo. Però, appena entrato, avevo avuto un presagio, qualcosa sarebbe andato storto, e questo perché non avevo trovato la commessa di sempre. Non che a quella dietro il banco mancasse qualcosa o avesse l’aria della iettatrice o mi guardasse di sbieco, anzi era uno di quei tipi che ti sorridono come se ti aspettassero da chissà quanto. Ma l’inghippo era lì, davanti ai miei occhi. Mancava la batteria e l’altra, quella di sempre, si era dimenticata di annotare che l’avevo riconsegnata. La ragazza ha fatto un paio di telefonate ma non sono state sufficienti. Mi ha consigliato di tornare domani. Le ho lasciato il cellulare e sono andato al pontile. Una leggera brezza di Scirocco. Esco dal porto e isso la vela, opero una leggera modifica all’assetto sollevando il pennone di una decina di centimetri. Tiro la scotta e vado. La prima sensazione è buona. Provo qualche virata e la barca risponde. Mi allontano verso nord un trecento metri, poi comincio a bolinare per fare ritorno. Devo farne molte, di virate, ma ogni volta guadagno un po’ d’acqua e lentamente mi avvicino e, quasi non ci credo, arrivo fin sotto il molo. Non è il massimo, per fare trecento metri controvento ho impiegato un’iradidio, però ho navigato di bolina. Potrei perfino provare a entrare in porto con il vento, ma non mi pare una buona idea. In primo luogo si rischia una multa salata, e poi non so ancora quanto potrò contare su questa vela in presenza delle strane correnti d’aria che si formano all’imboccatura quando soffia Scirocco. Dopo un po’ ci ripenso e mi butto. Bingo. Ammaino e vado all’attracco. Mattinata da sballo, cellulare dimenticato. Resto qualche minuto seduto in barca a godermi l’atmosfera. Qui il mondo è diverso, e lo è dal momento che superi la barra dell’area portuale. Poche le cose che contano, ma immense. Il cielo, e appena entri ci dai subito uno sguardo per cercare di capire le intenzioni delle nuvole, il mare, che subito ti dice di che umore è, e se per toglierti la voglia di uscire e tirar su la vela devi rischiare qualcosa, il vento, tipo instabile e anche un po’ figlio di puttana, che a volte ti invita con brezze leggere, poi, in un attimo, ti ritrovi a ballare a denti stretti dentro una burrasca. Poco a poco, però, mano a mano che impari a conoscere le regole, appaiono meno pericolosi e diventano tuoi compagni di gioco. Ti tengono lontano da guai come l’obesità, a cui sembrano già destinati almeno un 24% dei bambini italiani, da gravi angosce come voler sapere a tutti i costi se Clooney sposerà la Canalis, dal degrado etico -linguistico dei talk show e dei reality, vedi Il Grande Fratello, a proposito del quale nessuno si è vergognato di scippare il titolo di un romanzo sociale serio, drammatico, perfino tragico, scritto da Orwell in corsa con la morte per riuscire a scrivervi la parola fine. Il fatto è che alla TV, canali nazionali e non, cazzeggiare necesse, o si rischia di vedere i budget pubblicitari, condizione di profitto e sopravvivenza sine qua non, dissolversi come nebbia al sole. Questo la dice lunga sul livello e le capacità critiche di un pubblico che pare abbia preso gusto a farsi scodellare spazzatura. Una volta c’erano la via della seta, la via delle spezie, che portavano agli europei ciò che di nuovo e di bello veniva prodotto dalle culture orientali, migliorandone le competenze e i gusti, e tutto sommato, anche la cultura, oggi abbiamo la via della spazzatura, che credo parta dagli Stati Uniti e raggiunga il continente europeo via Gran Bretagna. A parte quel poco di cui ho già detto, non ho niente contro gli americani, ma penso che dovrebbero smetterla di rompere i coglioni con il mito del self made man, successo a tutti i costi, il rispetto legato al successo a filo doppio, perché chi non riesce a conseguirlo con i mezzi leciti (se qualcuno ci riesce davvero), potrebbe cercare di procurarsene un surrogato con quelli illeciti, o più semplicemente bistrattando le già logore regole dell’etica sociale. Ma chi vuole cambiare? Chi ha la forza di cambiare? Se è vero che la vita semplicemente scorre, oozes, come dice Beckett in Aspettando Godot, alludendo allo scorrere di una melma, e se è anche vero che le donne partoriscono a cavallo di una fossa, un cambiamento potrebbe anche essere irrilevante, meglio tenersi i posti assegnati, limitarsi a percepire il disagio, ma senza approfondire, con vaghi propositi di cambiamento. Come al solito, se non ci sto attento, mi si appesantisce il discorso. Ma all’interno dell’area portuale, specie se seduto in una barca a goderti il sole e la brezza, sono riflessioni oziose.

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