giovedì 6 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Mercoledì, 12 maggio 2010
Oggi non ho voglia di scrivere. Sarà perché piove. Tempo addietro, la pioggia non mi dispiaceva del tutto. Per esempio, mi piaceva starmene in casa, al caldo, magari a scrivere o leggere un romanzo o guardarmi un film alla TV mentre fuori infuriava il vento e diluviava. Mi piaceva anche andarmene a spasso sotto l’acqua ascoltando il crepitio delle gocce sull’ombrello, cosa che però capitava di rado perché non ho mai avuto l’abitudine di portarmi dietro l’ombrello. Anzi, non ricordo di averne mai posseduto uno. Però non ho mai creduto a stronzate del tipo Com’era bello in due sotto l’ombrello, perché in due ci si inzuppa e se si mette a piovere forte sono cazzi, figurarsi se tira vento. In certe occasioni, meglio un bel riparo. Però questo piccolo amore per la pioggia ha ceduto senza riserve di fronte all’ubriacatura che mi sono preso per la vela. Da quel momento la pioggia è diventata sempre di più una rottura di scatole. Di quel piccolo amore non è rimasta neppure una cicatrice, che dico, un segno, come del resto accade anche per i grandi amori, quando sono davvero finiti. Neppure quel senso di malinconia che ti riporta il ricordo di cose belle vissute. Del resto, anche la Bibbia non è tenera con la pioggia. Una maledizione celeste. Quando la divinità ne ha abbastanza della dissolutezza degli umani, giù acqua per quaranta giorni e quaranta notti, il diluvio, la distruzione totale. Dico la divinità in genere, perché pare che il diluvio biblico non sia stato proprio universale, e molte altre parti del mondo, India compresa, abbiano avuto il loro diluvio celeste, a distanza di tempo, a partire da oltre seimila anni prima di Cristo. Concludendo, dovrò fare un salto al pontile. Sgottare necesse. Pare che nel Golfo del Messico non si trovi il modo di fermare la fuoruscita del petrolio dal fondo dell’oceano e che i pescatori, poveracci, dovranno cambiare mestiere. Gli americani fanno le cose in grande, è più forte di loro, in un grande paese anche le cazzate devono essere galattiche. Speriamo che facciano presto a tappare i buchi. Se va avanti così per qualche mese, dovremo andare a cercarci un bicchiere d’acqua sulla cima dell’Hymalaya. Tempo fa ho fatto un lungo giro degli States e devo dire che mi è piaciuto visitare città le cui immagini di continuo rimbalzano tra cinema e televisione, vedere gli americani a casa loro. L’unico fatto che mi ha colpito è che ci sono un sacco di obesi. La spiegazione è arrivata, chiara e forte, quando li ho visti mangiare nei Fast food. Per il resto, è gente normale, tranne per un paio di cose. Primo, la mania di esporre la bandiera a stelle e strisce fuori e dentro casa, lungo le strade, sugli edifici pubblici e su quelli privati, e dovunque è possibile farlo. Secondo, la smania di fare le cose in grande e la totale mancanza del senso delle proporzioni. A Santa Cruz, gettare un mozzicone per strada costava cento dollari. Fatti i debiti calcoli, si potrebbe stabilire a quanto potrebbe ammontare una multa per il mancato test di una valvola di sicurezza che sta uccidendo un oceano, ma non credo che qualcuno abbia pensato di farlo, né a Santa Cruz né altrove. D’ora in poi una petroliera che affonda sarà una quisquilia, magari armatori d’assalto si sentiranno incoraggiati a rimettere in mare vecchie carrette, cui uno starnuto basterebbe a procurare una falla. Se è vero, come sosteneva Socrate, che ogni cosa nasce dal suo contrario, non è difficile capire, anche in considerazione dei tempi che corrono, come siano nati mari e oceani che sono cloache a cielo aperto, il difficile è immaginare come da tanto putridume possano essere rigenerate acque limpide e incontaminate, così come ci sono state consegnate, in un eccesso di fiducia, da madre natura. Meglio smetterla qui, quando non ho voglia di scrivere, divento deprimente. Affidiamoci alla speranza. Dopo tutto, la Fenice è rinata dalle proprie ceneri.

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