lunedì 19 luglio 2010

Diario di un qualsiasi nessuno

Martedì, 2 marzo 2010
Continuo con gli antibiotici, la tosse è quasi sparita, la febbre non c’è più eppure non mi sento tranquillo. C’è qualcosa, localizzabile più o meno nella zona bronchiale, una sorta di attrito connesso alla respirazione. Oggi la sesta compressa. Sono inquieto e forastico come un animale in cattività. Cerco di passare il tempo al computer, quando mi stanco faccio un po’ di zapping, alternato con la lettura di un libro di Urania, capitatomi chissà come tra le mani. In realtà lo sto rileggendo, credo di averlo comprato in offerta speciale una ventina di anni fa. E’ ambientato a Milano, molto avanti nel ventunesimo secolo, in una società in parte ancora umana, ma per lo più popolata da esseri sintetici sempre in cerca di una droga micidiale che li stecchisce. Lettura in automatico, stanca e disinteressata, fregandomene perfino di seguire la trama. Al popolo televisivo, quello che paga ancora il canone, si fa sapere che Fabrizio Corona dà lezioni di Economia all’università di Salerno. Il popolo televisivo non si pone domande, è abituato a tutto, ingoia le notizie e poi, benché non tutti ci riescano, le vomita prima che arrivino ai cervello o ai terminali nervosi. Non c’è rischio di bulimia. Gran parte dell’Italia calcistica è in pena per la Juventus, dopo le ultime vicende torinesi, e Zaccheroni cerca giustificazioni per colpe che non ha. Brutta gatta da pelare. Malgrado piccoli ritocchi, consentiti, ci mancherebbe, a un divo della TV, Enrico Variale non è più lo stesso, ha perso lo smalto, ha il sorriso spento, ogni domenica è peggio. La Juventus si riprenderà, speriamo, o lo vedremo spegnersi come una candela. Mi sono fatto spiegare come si masterizza un CD. Lo so che è roba da adolescenti, forse anche da bambini. Se non mi fossi rotto la schiena per imparare cinque lingue straniere, sarebbe roba da ridere anche per me. Avrei potuto studiarne una di meno, magari il russo. Quando ho cominciato, i russi erano lontani, invisibili, gente di un altro pianeta, si sarebbe potuto organizzare un concorso a premi per chi ne avesse incontrati almeno un paio nel giro di un anno. Conoscere il russo avrebbe potuto essere utile per il commercio, per l'interpretariato, non si sa mai. Questo, prima dell'invasione. Da un giorno all'altro sono cominciate a piovere russe e ucraine, una grandine inarrestabile di bionde dagli occhi azzurri, fisico slanciato, gambe chilometriche e tacchi stratosferici. Figurarsi gli sprovveduti benestanti di provincia, sposati e non sposati, irretiti come topi dai serpenti e ansiosi di lasciarsi divorare insieme ai loro patrimoni. Insomma, tra badanti, bariste, mogli, amanti e puttane, ce ne sono in giro troppe perché chi ha bisogno di un interprete possa venire da me. Non solo per il grado di conoscenza della lingua, di certo non potrei competere con una nativa, ma anche per altri fattori tutt'altro che secondari, la misura del girovita, ad esempio, quella del petto, dei fianchi. Però lo studio del russo mi ha portato in aliscafo sulla Moscova, sulla Piazza Rossa, davanti alla meraviglia di San Basilio, nella fortezza del Kremlino, nelle basiliche rosse di icone al suo interno, nei GUM, i magazzini generali moscoviti, prima della crisi valutaria, quando per un dollaro ti davano centoquaranta rubli e con quaranta facevi pranzo al ristorante. Se proprio volevi strafare, potevi affittare un'auto con autista per cinquanta dollari al mese. Questo accadeva nel 1992, quando fra le commesse dei magazzini generali erano anche donnone di cinquant'anni con indosso un grembiule celeste e i capelli raccolti alla meglio dietro la nuca e ti trattavano come tante mamme. I negozi, disseminati lungo i passaggi sopraelevati fiancheggiati da ringhiere in ferro lavorato, erano simili ai nostri, quelli degli anni cinquanta, con le porte in legno corroso e le mensole di legno sgangherato alle spalle delle commesse. Ma la diversità , quella vera, la notavi solo in un secondo momento ed era l'assoluta mancanza di pubblicità . Un mondo magico, sospeso nell'etere. Ci sono tornato tre anni dopo, anno 1995, per tre settimane di corso intensivo all'Università Lomonosov a conclusione degli studi per il conseguimento di un certificato. Mosca era un'altra città . Le botteghe erano boutiques, le commesse, sciupamaschi in gran tiro, la pubblicità imperversava sugli spazi canonici e su ogni mezzo in movimento, inclusi i treni della sotterranea. Il cambio era ancora conveniente, ma la favola era finita. Il mio rapporto con l'anima russa è stato un rapporto romantico, di grande sentimento. Riesce ancora a commuovermi. Non sono più tanto sicuro che avrei dovuto escludere proprio il russo a favore dell'informatica. Forse lo spagnolo. Rispetto alle altre lingue, per noi italiani è tanto facile che si potrebbe imparare anche a ottant'anni. Però, se non lo avessi studiato, non mi sarei potuto fare una litigata con un cameriere in un ristorante di Siviglia, che ci aveva servito sei scodelle di colla, quando avrebbero dovuto essere di spaghetti. Diceva che in Spagna si usa così, ma siccome gli spaghetti sono più italiani che spagnoli e per quel ne dice il consesso multietnico i mangiaspaghetti titolati siamo noi, non ha avuto scampo. Ci ha servito di nuovo spaghetti con sei minuti di bollitura, cronometro alla mano. I connazionali mi hanno fatto festa, il cameriere si è unito a noi e tutto è finito a tarallucci e vino. Forse anche lo spagnolo ha avuto la sua importanza e io sono uno stronzo che non rispetta le proprie scelte. Se ho scelto di impararle ci sarà stato un motivo e se non c'era si vede che mi piacevano. E mi piacciono ancora. Ora non ho più neanche bisogno di scegliere. Ci vorrà solo un po' di tempo. Dopo tutto, anche l'informatica è linguaggio.

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