sabato 10 luglio 2010

Sabato, 27 febbraio 2010. Un forte dolore all’occhio sinistro, come una pressione interna che si propagava alle arcate dentali. Di dormire, neanche parlarne. Sono sceso in salotto e mi sono disteso sul divano davanti al televisore. Arancia meccanica, già iniziato. Me lo sono rivisto, dopo secoli. Non mi ricordo gran ché, perché con la testa più sollevata il dolore diminuiva e devo aver ceduto a diverse pennichelle. Alle quattro sono tornato a letto e ho dormito fino alle otto. Tutto sommato, poteva andare peggio. Stamattina mi sento bene, se non fosse per un dolorino all’arcata dentale destra, che con l’occhio sinistro non ci entrerebbe un cazzo, se non fosse per il fatto che le rotture di coglioni percorrono vie imperscrutabili. Ormai ho imparato che il peggio è sempre dietro l’angolo, perciò meglio accontentarsi. Il sole splende glorioso, il cielo è azzurro e la temperatura è gradevole, anche se tende al fresco, io me ne sto in casa, al riparo degli antibiotici, timoroso di mettere fuori il naso ma fortemente tentato di andare a terminare il lavoro allo strallo. Chi era, Oscar Wilde, che sosteneva di saper resistere a tutto, tranne alle tentazioni? Di certo non lo aveva mai sovrastato la minaccia di una bronchite epocale. Pomeriggio in casa. Guarderò la pubblicità alla televisione. Si fa per dire, ma capita di dubitare se sia la pubblicità a interrompere le trasmissioni o viceversa. L’unica difesa è spegnere l’audio, con la speranza che non tutte le cellule cerebrali finiscano per infettarsi. Invece di sentir parlare degli inestetismi della cellulite ti godi magari un panorama di belle ragazze, invece di sentir parlare di un acido che spiana le rughe, guardi dei visi prima e dopo la cura, in genere femminili, che magari ti spingono a riflettere sulla caducità dell’esistenza. E’ importante che durante la pubblicità il cervello resti attivo e ti proponga quesiti, riflessioni, constatazioni, che continui a sentirsi vivo, propositivo, senza lasciarsi ingozzare di termini insignificanti, a volte sconosciuti, che l’audio riesce a contrabbandare come l’ovvio nettare della vita. Rifiutare l’ipnosi collettiva, avere il coraggio di dichiarare che gli inestetismi della cellulite, complimenti a chi ha il merito del conio, ci piacciono. Si, ci piace carezzare un’anca, una coscia, anche se imperfetta per via di qualche piccolo grumo di grasso sottopelle. Non è la perfezione che affascina, non lo è mai stata. Il fascino sta in un piccolo difetto, un moto insolito delle labbra, una personale inclinazione dello sguardo, un ciuffo di capelli fuori posto, in una lieve irregolarità della pelle come la cellulite. E allora, fanculo a voi e ai vostri messaggi sugli inestetismi della cellulite, che hanno fatto rincoglionire e continuano a fare rincoglionire e sono la disperazione di povere coglione che vi hanno dato ascolto e continuano a farlo. Per concludere, evviva la cellulite!, e se davvero vi disgusta carezzare una coscia ben tornita con qualche piccolo grumo, beh, allora sono cazzi vostri. Passiamo a Terence Hill, che ho intravisto negli spazi promozionali dentro la tonaca di un Don Matteo dai discutibili trascorsi. Volenti o nolenti, capita di identificare l’attore nel personaggio, e quando vedi Don Matteo non puoi evitare che ti torni alla mente, magari in un flash, Lo chiamavano Trinità, Altrimenti ci arrabbiamo, e un numero infinito di film in cui volavano più cazzotti che anime in cielo in un film di meteore assassine. Dopo i noti trascorsi, in coppia con Bud Spencer, che non era certo da meno in fatto di mazzate demolitrici di teste, Terence appare un tantino improbabile nei panni di un prete, anche se, va riconosciuto, la connotazione principale del personaggio è quella del detective. Il fatto è che gli riusciva facile interpretare il duro, o il Robin Hood dal sorriso beffardo, mentre nei panni del buono fa una fatica da facchino. Però in suo favore gioca la dislocazione temporale, cioè il fatto che facesse il duro prima di farsi prete. Un duro che si fa prete sa di ravvedimento, di conversione, di rivelazione, di catarsi, resurrezione, insomma, un piccolo miracolo. E’ in linea con l’immaginario collettivo, con la speranza in un’umanità migliore, direi accettabile. Se invece da prete si fosse tramutato in un duro sarebbe stato inquietante. Immaginate la gente comune, espressione molto di moda alla TV, indotta a sospettare ogni prete, peggio ancora il proprio parroco e i suoi assistenti, per lo più cadenti e decrepiti, visto il crollo inarrestabile delle vocazioni giovanili al sacerdozio, di essere una masnada di potenziali attaccabrighe, giocatori d’azzardo e arroganti pistoleri che, occasionalmente, si fanno anche beffe delle forze dell’ordine. Meglio essere passato dal duro al prete. Resta comunque il fatto che lo sguardo di Terence, quando fa il buono, non convince.

Nessun commento:

Posta un commento