sabato 7 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Sabato, 7 luglio 2012. Si vede che non è un bel momento, ieri ho perfino sbagliato la data in entrambi i post. Ho scritto cinque luglio invece di 6 luglio. Non posso neppure pensare a un subdolo tentativo dell’inconscio di prolungarmi la vita di un giorno, perché, incazzato come sono sin da quando mi sveglio di primo mattino, esso potrebbe solo venire attribuito ad una forma irrimediabile di autolesionismo. Francamente, anche in presenza di una normale incazzatura quotidiana, diciamo quella più comune da telegiornale, allungare la vita di un giorno potrebbe anche non essere così desiderabile. Invece di morire nel tuo letto potrebbe scoppiarti un vulcano sotto il culo, deragliarti un treno fin dentro casa, crollarti un edificio addosso per un terremoto, pioverti in testa un frammento di navetta spaziale, essere accoltellato o ammazzato di botte da un rapinatore incarognito, finire sotto un’autobotte o perfino prendere parte da protagonista all’annunciata fine del mondo. Si potrebbe obiettare che il peggio è perdere la vita e il modo in cui si muore ha poca importanza, ma la storia smentisce. Negli anni della Santa Inquisizione, ai condannati al rogo che confessavano la propria eresia veniva concesso, in premio, il taglio della testa prima di essere dati alle fiamme. La settimana scorsa sono tornato da Malta, naturalmente in aereo. Un’ora e un quarto di volo con larghi squarci di sereno e sotto gli occhi un’immensa carta geografica della Sicilia e delle coste meridionali  del Tirreno. Lo stesso spettacolo che per alcuni si è tragicamente interrotto a Ustica. Ce n’è voluta per togliermelo dalla testa, guardando dall’oblò. Dicevo di Malta, leggermente più a sud delle coste della Tunisia, clima africano. Pare che la lingua derivi da un dialetto arabo che si parlava in qualche zona della Sicilia, ma tutti sono in grado di esprimersi in italiano e in inglese, almeno per quel tanto che garantisca la sopravvivenza a chi si avventura da quelle parti. Figurarsi vedersi costretti a gesticolare disperatamente con quaranta gradi all’ombra. Sarebbe  anche molto difficile colmare certe lacune in cognizioni di vario genere, per esempio quelle di natura geografica, rispondere a domande come –Venite dalla Sicilia o dall’Italia?-  (Sic!). Non ho avuto l’impressione che i maltesi siano un popolo di chiacchieroni, anche se invece di parlare gridano, ma sono rimasto solo una settimana e potrei anche sbagliarmi.  Invece sparano. Non che vadano in giro con le pistole alla cintola,  sparano i botti. Magari cominciano la mattina alle sei e ti svegliano e tu non sai il perché e smoccoli e loro continuano. Magari vanno avanti l’intera mattinata. Non ho saputo di nessun ustionato o ferito in qualche modo dalle esplosioni, nessuno che si sia fatto male. Girando per le strade, per qualsiasi strada, si vedono grovigli di fili pendere dai muri, collegati alla linea elettrica alla meno peggio, di cui nessuno si preoccupa. Viene da pensare che la messa a terra e altri dispositivi di sicurezza rientrino nell’area del futuribile, ma la gente vive lo stesso tranquilla. Non ho ben capito dove tengano i pony (aree semiselvagge per lunghe cavalcate non mancano), ma la sera spesso li lavano e li custodiscono in strada, davanti alla porta di casa. Che cosa ho provato davanti a tutto questo? Commozione. Ho rivissuto momenti della fanciullezza, quando a pochi metri da casa mia c’erano due stalle. Ci passavo davanti più volte al giorno e a quei tempi la trovavo una cosa del tutto normale. Forse puzzavano, ma non me ne ricordo. Grovigli di fili ai muri, botti senza senso, a quell’epoca c’erano anche loro. Che dire del porto senza banchine, con le barche ormeggiate semplicemente alle boe, come succedeva nel mio porto di tanti anni fa? A provarci adesso si rischierebbe l’arresto. Credo che commozione sia la parola giusta. Ho respirato l’aria del passato, della fanciullezza, e per quanto ho potuto mi sono riempito i polmoni di quella sana barbarie da paradiso perduto.

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