Mercoledì, 18 luglio
2012. Caldo asfissiante, scarsa, molto scarsa ventilazione,
condizioni molto, molto sfavorevoli per la vela, quindi sono uscito
in mare. Consapevole che il “quindi “ ci sta come un paio di
galosce a Ferragosto, mi spiego. Per una ragione o per un'altra, nei
giorni scorsi sono rimasto a terra, perciò avevo una gran voglia di
uscire e l'ho fatto nelle condizioni peggiori. E' un ragionamento
logico? All'occasionale lettore l'ardua sentenza. Dicevo, sono uscito
in mare, mi sono rotto le palle per un'ora e mezza aspettando un
soffio di vento decente, che non è mai arrivato. Visto che non ne
valeva la pena, sono rientrato un po' in anticipo, così me la sarei
presa comoda e sarei andato in tutta calma a riprendere mia moglie
dal bagnino per riportarla a casa. Mai fare programmi, tanto
finiscono quasi tutti a cazzo di cane. Al rientro ho attraccato a
prua, ma il galleggiangte di poppa era sparito. Impossibile lasciare
la barca attraccata in quelle condizioni, perciò il seguito è stata
una faticata che non ti dico per recuperare il galleggiante, che era
affondato di almeno un metro e mezzo. Sono arrivato comunque in tempo
per recuperare mia moglie e per fare onore agli spaghetti alle cozze
che mi aveva annunciato dal giorno avanti. Squisiti. Molto meno
invitante si sono invece presentate le cozze attaccate alla fune
collegata alla catenaria, quando sono andato a finire il lavoro nel
pomeriggio. Ne saranno state un mezzo quintale, e non mi meraviglio
che il povero galleggiante faticasse tanto a galleggiare. Forse
esiste una sorta di par condicio fra cose e persone per cui anche il
galleggiante deve avere le sue rotture di palle.
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