venerdì 6 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Giovedì, 5 luglio 2012 Davvero mi viene da piangere pensando a come vada sprecato il tempo della vita, dico della vita, che ha durata limitata e finisce con un funerale, dico con un funerale, e mettiamoci pure con una sepoltura, come venga sprecato, dicevo, passando da un avvocato a un commercialista per sistemare questioni di tasse, di contratti e di denaro, specie se c’è chi intende metterci indebitamente le mani e ci fa stare con il fiato sospeso. Purtroppo siamo in trincea, costretti a difenderci dai delinquenti e dalle Istituzioni, che negli ultimi decenni si sono date molto da fare per introdurre misure a protezione di parassiti e assassini. Basti pensare alla gente che si trova ancora in galera per aver ardito difendersi da un aggressore di certo non invitato in casa propria o da un rapinatore malintenzionato. Il giardino dell’Eden è appassito per sempre e adesso è una discarica a cielo aperto. La vita che crediamo di vivere è un pessimo surrogato. Tutto questo, un concentrato di pessimismo esistenziale che viene da una serie di giornate storte, ma spiega esaurientemente l’essenzialità di una barca a vela e il flusso dell’eternità che ritorna nel momento in cui supero i limiti dell’area portuale e mi dirigo verso il pontile. Anche a dispetto di possibili inconvenienti. Da tre giorni non posso andare in mare giusto per uno di tali possibili inconvenienti. Facciamo un rewind, appunto di tre giorni. Finalmente una mattinata di vento  come piace a me, una ventina di nodi da nord est, pura goduria. Nel mezzo della goduria, si spezza una sartia e l’albero finisce in mare con tutta la randa, fiocco compreso. Non posso neanche dire di averlo visto finire in acqua, tanto la cosa si è svolta rapidamente. Un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era più. Nella retina, la scia di qualcosa che mi è sfrecciata davanti agli occhi come il fulmine. Fortunatamente sono al largo, lontano dagli scogli, ma il moto dell’onda, piuttosto consistente, mi porta in quella direzione. Però ancora lontani. Lascio che la barca si porti sottovento, rispetto a tutto il carico che la sartia rimasta e lo strallo si trascinano dietro, e comincio a recuperare. Passa una grossa barca e lo skipper mi urla che vuole telefonare alla Capitaneria. Gli grido di non farlo. Non è da escludere che potrebbe anche scapparci una multa. Continuo a recuperare, e poco a poco ogni cosa torna a bordo. Fortunatamente tutto fila liscio e in una ventina di minuti riesco a completare il carico. Lego l’albero a poppa e a prua e spero che il motore non faccia capricci, anche perché gli scogli sono vicini e cominciano a preoccuparmi. Parte al primo colpo. Rientro senza difficoltà e metto ordine a bordo. Piego la randa e il fiocco e verifico i danni. Si è spezzata la sartia sinistra in alto, dove è assicurata (si fa per dire) all’albero. Ho sostituito le sartie d’acciaio con delle cime robuste, ma sono fermo da tre giorni perché non riesco a trovare due dadi con un passo speciale. Continuo le ricerche. Se non li trovo, dovrò arrangiarmi in qualche modo. Tuttavia questo tipo di preoccupazioni non mi preoccupa, se mi si consente la cacofonia. A preoccuparmi sono quelle di cui ho parlato sopra, perché sono la non vita, lo spreco, anticipi di morte.   

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