lunedì 21 novembre 2011

diario di un qualsiasi nessuno

19 novembre 2011. Solo un eureka in formato ridotto. Stamattina soffiava l’alito di un moribondo. C’è stata qualche folata verso le dodici e mezzo, giusto quando sono rientrato per andare a pranzo. Al momento dell’attracco saranno stati già dodici nodi e cominciavano a formarsi le onde. Alle due e mezzo sono tornato al pontile per la seconda prova, sperando di ritrovare le cose come le avevo lasciate. Carburante gratuito, il vento, ma anche gran figlio di puttana. Si era ridotto a quattro o cinque nodi, forse anche meno, per di più intermittente e con il mare mosso. Di peggio, per provare una vela, c’è solo mare mosso e niente vento. Perciò, chi si accontenta, gode. Devo dire che se l’è cavata niente male. Sono uscito dal porto a vela e sono rientrato a vela. Sufficienza piena, ma l’EUREKA che mi ero ripromesso dovrà aspettare una giornata di vento che meriti questo nome. Vela che va, vela che non va, forse vale la pena di spendere due parole a vantaggio della chiarezza. Supponiamo di navigare per un tratto a vela da nord a sud con il vento in poppa, cioè da dietro. Nessun problema, basta aprire la vela, tenere dritto il timone e la barca va da sola verso sud. Poi si dovrà tornare indietro e non si potrà dirigere direttamente verso nord perché una barca a vela non può navigare contro vento. Può tornare verso nord navigando in una serie di diagonali, una volta a destra, una a sinistra, una a destra, una a sinistra e via di seguito. Diciamo in diagonali di 45 gradi ciascuna, che ti riportano al punto di partenza. Se una barca non riesce a navigare in diagonale, vuol dire che la vela non funziona, non è capace di farti ritornare al punto di partenza. Se una barca riesce a navigare seguendo diagonali più strette, diciamo 40 o 35 gradi, impiegherà meno tempo a tornare al punto di partenza. Dunque, se ho assegnato solo un sufficienza piena alla prova odierna è colpa delle diagonali piuttosto larghe, ma sufficienti. Non sarò stato chiaro, ma ci ho provato. Stamattina il vento è una sorta di oggetto misterioso, non si vede e non si sente. Le bandiere italiane all’ingresso del pontile, tutt’altro che garrule, si direbbero preoccupate per la catastrofe che incombe sul tricolore. Mi sono dato un po’ da fare, ho rinforzato la vela con un nastro adesivo speciale, specie nel punto in cui scorre la scotta, e ho incollato alcuni ganci su ambo i lati della barca, in alto, per fissarci un telone in caso di pioggia. Ora mi torna in mente che si tratta di una delle tante cose fatte e taciute al mio diario. Ho fatto il lavoro a terra, prendendo con facilità le misure direttamente sulla barca. L’ho ritagliato applicando poi ai margini una serie di occhielli con elastici da fissare ai ganci di cui parlavo. A dire il vero, avevo anche incollato i ganci, ma al primo uso se ne sono scollati cinque o sei. Giusto quelli rimpiazzati stamattina con diverso adesivo, garantito saldo, ostinato e irremovibile. Mentre ripercorrevo a ritroso il molo verso l’auto, mi pedalava incontro Lisà (Alessandro), figlio di pescatori, una vita sul mare, fonte inesauribile di ricordi, di un’Italia e di italiani del dopoguerra. Mi racconta ogni volta che ci vediamo e anche oggi è andata così e ho imparato cosa sono le galigate. E’ una parola dialettale dal significato piuttosto complesso, difficile da spiegare. Lui sa che ho fatto studi sul vernacolo, in particolare sui termini dialettali della marineria, e quando gli torna in mente un termine obsoleto, si affretta a riferirmelo con il giusto orgoglio di uno dei superstiti depositari di una cultura trascorsa. Da tempo ho in mente di mettere i suoi ricordi nero su bianco. Una riflessione salutare per chi pretende tutto e subito.

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