sabato 22 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

29 maggio 2010
Ieri mio figlio è stato formidabile. Ci ha invitato a cena e ci ha servito, oltre a una pigna di cozze, un piatto di tagliatelle alla marinara che avrebbero fatto vergognare tanti dei cosiddetti ristoranti di pesce. Negli ultimi due o tre che ho frequentato, al confronto, ho mangiato da schifo. Mio padre era un buon cuoco, credo che qualcosa l’abbia imparata da lui, di certo il gusto della cucina. Se i figli non sono abbastanza accorti da acquisire le virtù dei padri, per fortuna ci pensano i nipoti. Per quanto mi riguarda, nei lunghi periodi trascorsi all’estero, sono sopravvissuto a spaghetti aglio, olio e peperoncino. Devo dire che in Inghilterra, per esempio, producono ottimi spaghetti. Solo, occorre guardarsi dall’osservare i tempi di cottura indicati nelle confezione. Sono il doppio del necessario e quando escono dalla pentola sarebbero l’ideale per incollare poster e manifesti. Oggi non ho potuto provare la vela per via del vento. Una bavetta da levante ignorata perfino dalle bandierine del Circolo nautico. Inutile incazzarsi, il vento è propellente gratuito e soffia quando ne ha voglia. Dalla TV ho imparato che in italiano esiste il verbo merendare, incredibile. Questo stronzo di computer si vuole mettere a discutere con un linguista e me lo sottolinea come errore. La domanda che gli avevano rivolto era la seguente. Esistono verbi per esprimere in modo più diretto le locuzioni fare colazione e fare merenda, come, ad esempio, esistono il verbo pranzare per fare pranzo e cenare per fare cena? Avrei risposto con un no secco, invece il linguista ha parlato del verbo merendare, ormai in disuso. Il fatto che non venga più usato non vuol dire che non esista e non sia mai esistito. Al massimo, lo si può considerare in letargo, ma sempre pronto a rientrare in campo. Chi aveva mai sentito parlare di esondazione, prima che qualche cronista ci avesse sbattuto il muso, magari cercando un’altra parola nel dizionario, ignaro di essere sul punto di una scoperta epocale? L’ordinaria mediocrità si è immediatamente allineata e da quel momento, fiumi e laghi non straripano più né alla TV né sulla carta stampata. Esondano. A conferma del mio assunto, questo stronzo di computer me lo sottolinea come errore. E’ bello, una volta tanto, poter apprendere dettagli linguistici alla TV. Ma è anche incredibile. Di solito è il luogo dove le lingue vengono strapazzate, oltraggiate e screditate, dove subiscono violenze inaudite, abbandonate a sé stesse e indifese. Quanto all’italiano, sarebbe sufficiente denunciare la quotidiana strage di congiuntivi che viene operata con incredibile nonchalance e senza senso di colpa. Credo che gli stranieri che studiano seriamente l’italiano comincino davvero a capirci poco e rischino, rispetto alla grammatica, lo stato confusionale. Ma non si tratta solo dell’italiano. Prendiamo l’inglese, ormai seconda lingua in tutti gli stati di Eurolandia, quindi anche in Italia. I reati contro l’inglese, in particolare riguardo alla pronuncia, meriterebbero ogni volta un procedimento penale. A rimetterci, naturalmente, sono i poveri studenti, che si trovano a dover confrontare la pronuncia dei loro insegnanti con incredibili sgorbi verbali pronunciati alla TV con la sicumera che è parte integrante dell’incompetenza. Mourinho se n’è andato a Madrid, contratto faraonico. Non dimenticherà mai l’Inter, ha dichiarato, le ha augurato tutte le vittorie possibili, tranne la Champions. Bisogna capirlo, i milioni dovrà pur cercare di guadagnarseli. Con le lingue se la cava bene, parla ormai l’italiano piuttosto correttamente e senza accento milanese, con lo spagnolo non ha problemi, lo abbiamo sentito nell’intervista di presentazione alla stampa a Madrid, ed è stato abbastanza a lungo in Inghilterra per cavarsela agevolmente anche con l’inglese. Girare il mondo e imparare le lingue. Forse è uno dei pochi che ci guadagna e anche bene. Non credo che l’Inter vincerà il prossimo campionato o la prossima Champions o la prossima Coppa Italia. A una grande ascesa segue sempre un periodo di decadenza e un inevitabile declino. Accade alle società, alle nazioni e agli imperi. E’ accaduto all’Impero Romano, dal quinto all’ottavo secolo, alla società europea del Novecento, al grande impero britannico, a chiunque abbia raggiunto vette eccelse. E’ il compiacimento a indebolire i nervi, i tendini e il cervello. Ma non è niente di grave. Il fatto è che siamo umani, capaci di grandi imprese ma soggetti a essere vittime di noi stessi. Torniamo all’Inter, o c’è il rischio di appesantirsi. Moratti Junior è riuscito a posare i piedi sulle orme del padre, a quarantacinque anni di distanza. Credo che anche la sua tensione sia in fase di declino. Il minimo che possiamo fare, interisti e non, è congratularci con un presidente che sbraita come un tifoso e, alla sua età, avrà rischiato chissà quante volte l’infarto. E tutto per una coppa che peserà, al massimo, una decina di chili.

martedì 18 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

28 maggio 2010
Oggi è il mio compleanno, fatto del tutto ignoto all’anagrafe. E’ un falso in atto pubblico, tuttavia non doloso e di cui non sono responsabile. Il fatto è che quando sono nato qualcuno era distratto e si è recato in municipio a denunciare la mia venuta al mondo un paio di giorni in ritardo. Così mi ritrovo con un doppio giorno di compleanno, uno vero, tramandato in famiglia, uno anagrafico. E siccome verba volant, scripta manent sui documenti e fanno la differenza, mi sono adeguato e lo festeggio in ritardo. Quando mi ricordo. In realtà è una festa che non mi ha mai entusiasmato. Prendendo per buono quanto diceva Seneca, che una parte della nostra morte è già alle nostre spalle, non mi pare, e in realtà non mi è mai parsa, una ricorrenza che induca a banchettare. Ho provato di nuovo la vela, operando una modifica all’attacco del pennone superiore, sicuro che sarebbe andata alla perfezione. Flop. Domani ci riprovo, non vedo l’ora di ripristinare il vecchio assetto. Non era da urlo, ma almeno un sei lo meritava. Verso le due sono andato a prendere mio figlio all’aeroporto, naturalmente con moglie e figli. Su settanta chilometri di autostrada c’era il limite di cento solo per un breve tratto, per tutto il resto sessanta e ottanta, causa l’allestimento della terza corsia. Per un po’ ho cercato di rispettare i limiti, ma presto mi è parso chiaro che intralciavo il traffico, specie quello dei TIR, che mi superavano incazzati a centoventi all’ora. Nel parcheggio dell’aeroporto ho incontrato una comitiva di inglesi. L’aereo era appena atterrato. Cinque minuti e nel padiglione degli arrivi c’era anche il gruppetto della mia discendenza. Erano tutti in forma. Mio figlio, mia nuora e piccoli gemelli. Poco più di mezz’ora e tutti casa. C’era un tempo in cui prendevo gli aerei come fossero taxi, invece adesso tutti questi voli low cost cominciano a preoccuparmi. Potrebbe anche essere un’impressione sbagliata, ma ho l’impressione che siano aumentati gli incidenti. Se poi aggiungiamo i terroristi, che alla fine arriveranno a sistemarsi le bombe anche nel buco del culo, c’è poco da stare allegri. Mia moglie la pensa allo stesso modo. Un paio d’anni fa abbiamo rotto gli indugi e siamo andati a visitare le capitali nordiche. Doveva essere un volo Lufthansa. Falconara – Stoccolma, con scalo a Monaco. Con la Lufthansa si vola sicuri, almeno così dicono. Sorpresa. Ci hanno fatto salire su un aereo di un’altra compagnia. Poi mi hanno spiegato che si trattava di un’associata della Lufthansa. A quel punto, O mangi ‘sta minestra... Il volo è stato tranquillo e senza turbolenze. Solo un piccolo inconveniente all’aeroporto di Stoccolma, dove una signora ha atteso per un pezzo di veder apparire la valigia sul rullo, prima di avere una specie di crisi da frustrazione, con lacrime e disperazione. Abitava nello stesso paese dove mia moglie era nata e aveva vissuto la propria adolescenza. Scoperta la cosa, avevano passato il viaggio a sciorinare nomi e ricordi comuni. Visto che non conosceva l’inglese, e se in Svezia non parli inglese puoi sprofondare in una crisi di alienazione totale, l’ho accompagnata da un funzionario che gironzolava nei paraggi e abbiamo denunciato l’accaduto. Il tipo non si è scomposto, ci ha fatto compilare un modulo e con il sorriso più tranquillo del mondo ci ha assicurato che la valigia le sarebbe stata recapitata in albergo alle cinque del pomeriggio. Tanta sicurezza mi ha sorpreso, devo confessarlo, stentavo a crederci. Quando però la signora mi ha chiesto con un filo di voce Sarà vero?, le ho detto che era in una botte di ferro, perché se uno svedese dice le cinque, saranno certamente le cinque. In un paese che conferisce premi annuali ai migliori scienziati e letterati del mondo, neppure a un funzionario aeroportuale è consentito dire stronzate. Però, detto fra noi, può anche trattarsi di una faccenda di latitudine, è più a sud che le cose vanno diversamente. Stoccolma, Copenhagen, ultima tappa Oslo dopo una notte di navigazione e arrivo lungo i fiordi. Splendido. Durante il volo di ritorno, la signora, quella della valigia, regolarmente recapitata alle cinque di quello stesso giorno, è stata colta da una crisi di panico da aereo, e per tutto il tratto Monaco-Falconara i lamenti si sono susseguiti con preghiere e presagi funesti. A ciò va aggiunto che al marito della signora, un tipo apparentemente affidabile, era parso, per un momento, di notare il cattivo funzionamento di una delle due eliche. Da parte mia, avevo già sentito un brutto rumore al decollo, un piccolo schianto dalla parte di un’ala, e non mi sentivo per niente tranquillo. Per di più entrambi avevamo notato una malcelata eccitazione nelle hostess. Malgrado i funesti presagi, l’aereo è atterrato come previsto e siamo scesi tutti vivi. Tuttavia, il fatto che uno dei motori fosse già stato già spogliato del rivestimento e che almeno tre meccanici ci stessero lavorando alla luce di forti lampade mi lascia ancora perplesso.

martedì 11 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Sabato, 22 maggio, 2010
Qualcuno si è stufato di pagare i ticket e ha pensato a un rimborso direttamente dalla cassaforte del poliambulatorio dell’ASL. Ci sono capitato stamattina. Davanti all’ingresso stazionava un’auto della polizia e mi sono chiesto che ci stesse a fare. Anche i poliziotti si ammalano, è naturale, ma non vanno al poliambulatorio con l’auto di servizio. Entrando ne ho visti un paio, in divisa. Stavano interrogando il personale e prendevano appunti. In nottata c’era stato un tentativo di scasso. L’allarme non aveva funzionato, ma la cassaforte aveva resistito alla grande. Capita che il crimine non paghi, perfino di questi tempi. Le infermiere erano in fermento, un po’ scherzando e un po’ sul serio, perché gli agenti chiedevano chi fosse stata la prima ad entrare in mattinata, mentre sul capo dei ladri piovevano le imprecazioni di chi era in fila agli sportelli. Ovvia la precedenza alle indagini,
ma quei poveracci dovevano proprio sentirsi sfigati senza speranza. Sta per venire alla luce il mio Blog, dove ho intenzione di condividere queste righe con altri nessuno qualsiasi. Con la gente comune, si usa dire in TV, ma se andiamo a scavare fino in fondo la gente comune è l’opposto dei VIP, è gente che non va a passare le vacanze a Porto Cervo. Ci siamo capiti. Considerando che in passato anche il voto era una questione di censo, siamo progrediti. Oggi, in difetto, si deve solo accettare l’appellativo di gente comune. Ma anche sul trono più elevato del mondo, si è sempre seduti sul proprio sedere. Dai tempi di Montaigne, le cose non sono cambiate. Avevo intenzione di provare la vela ma fuori c’è un accumulo di cumuli poco rassicurante e una Tramontana che ormai avrà reso il mare una schiuma. Farò un salto al pontile più tardi, a controllare le cime d’attracco. Siamo a maggio inoltrato e ho la sensazione che sia ancora gennaio e le bizze del meteo non c’entrano, mi sento poco attivo e non riesco a darmi una spiegazione. Eppure qualcosa avrò fatto in quasi cinque mesi. Dovrò rileggermi questo diario dalla prima pagina cercando di infilare un segnalibro dove riscontro qualche genere di attività. La domanda è: Ho vissuto in questi cinque mesi? Dovrò darmi una risposta, o rischio di arrivare alla fine dell’anno e pormi la stessa domanda per un periodo di dodici mesi. Di certo non sono stato creativo, ho desiderato in modo insufficiente, e non è stato un gran vivere. In qualche modo può aver influito quel disgraziato di virus che mi sento ancora nei bronchi. Non è vero che abbiamo poco tempo, diceva Seneca, la verità é che ne perdiamo molto, e credo che avrebbe ritenuto la faccenda del virus una scusa puerile. A nessuna ragione si deve permettere di distoglierci dal vivere. Ecco il nostro errore, mi ispiro ancora a Seneca, vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dovremmo rifletterci. Se moriamo, anche se solo in parte, alla fine di ogni giorno, almeno avremmo dovuto cercare di viverlo. Pare che sia imminente una grandinata di tasse. Ci sono discussioni convulse a Palazzo, ma pare che sia proprio inevitabile. L’Europa lo vuole, dice che i conti non tornano. Nui chiniam la testa al Massimo Fattor, scriveva Manzoni, e pare proprio che di questi tempi il massimo fattor sia diventato l’Europa. Non quella dove ormai, dopo secoli di guerre, sembra essersi stabilita la pace in pianta stabile, quella senza confini, senza passaporti e senza dogane, quella in cui milioni di persone possono sentirsi meno stranieri gli uni verso gli altri, dove ci si avvia lentamente, se non a una vera osmosi, almeno a una sempre maggiore tolleranza delle diversità materiali, di quelle di poco conto, vedi la cucina, il modo di vestire e le scarpe da indossare, ma anche di quelle spirituali, retaggio di scrittori e filosofi che vivevano in climi diversi, oppressi dalle nuvole o aperti alla luce del sole, e di conseguenza potevano essere più o meno inclini a una visione pessimistica o invece ottimistica del mondo. Quella che mi sta un po’ sullo stomaco è un’Europa impositiva, quella che fa continuamente i conti e ogni tanto spara sentenze sul PIL, sulle tasse, sui salvagente. Capisco, menzionare i salvagente sull’onda del PIL e delle tasse crea uno stridore fastidioso, ma non è fuori luogo. L’anno scorso ho acquistato due salvagente al prezzo di quattordici euro ciascuno per un totale di ventotto euro. Aggiungo che sono stato costretto ad acquistarli, perché quelli che avevo erano stati dichiarati fuorilegge. Così, da un giorno all’altro. Uno è ancora nel cellophan. Quest’anno ne è stato omologato un tipo diverso, pare per regolamentazione europea, almeno così mi hanno spiegato alla Lega Navale. Di conseguenza dovrò comprarne un paio di nuovi, che costano almeno il doppio, disfarmi di quelli acquistati lo scorso anno, uno ancora cellophanato, con il ragionevole dubbio che qualcuno ci provi gusto a farmi incazzare perché i miei soldi (euro) se ne vanno a puttane. Stavo parlando di tasse. Vediamo come va a finire. Speriamo solo che a nessun ministro venga ancora in mente di dire che le tasse sono una bella cosa. Sarebbero una buona cosa, se in TV non ci mostrassero in continuazione edifici per ospedali portati a termine e non, comunque mai utilizzati e abbandonati e alle ortiche, enormi impianti per il tempo libero, edifici pubblici per le destinazioni più diverse, costati all’epoca miliardi e miliardi di lire e attualmente milioni di euro, vittime di uno stesso destino. E’ evidente che almeno una parte di quelle tasse che dovrebbero essere una cosa bella non vengono usate per il bene dei cittadini. Cui prodest? Domanda da un milione di dollari, cui solo in pochi possono dare risposta. Di conseguenza, e torniamo a Platone, se non c’è bene, non ci può essere il bello, perciò non c’è da meravigliarsi se l’espressione le tasse sono una bella cosa appare poco condivisa. Nel frattempo, meglio provvedersi di un ombrello robusto.

domenica 9 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Domenica, 16 maggio 2010
Ieri è piovuto tutto il giorno e per un paio di volte sono andato a sgottare sotto l’acqua. Dovrò decidermi a trovare il modo di sistemarci un telone. Almeno, se mi svegliano tuoni e fulmini alle tre di notte, con i robusti scrosci che ne conseguono, non dovrò più saltare fuori dal letto, indossare la cerata e correre al pontile. Stamattina cade appena qualche goccia, verso le sette e mezzo sono andato al pontile e ho scaricato la poca acqua caduta durante le notte. Il cielo non è più un convegno di nuvole incazzate, si può perfino sperare in qualche raggio di sole. Giorni fa è capitato il tecnico del negozio che mi ha venduto il televisore, mi ha aperto un firmamento di nuove possibilità di ascolto. Saper che sulla Rai ci sono tredici canali è musica celebrativa per uno che ha resistito fino adesso alle continue tentazioni del Sig. Murdock e compagnia, con i loro Sky, Premium e via di seguito, perché li ho sempre ritenuti una forma di ricatto con il crisma della legalità. L’unica difesa sarebbe stato ignorarli del tutto, da parte di tutti, e allora le reti si sarebbero date un gran da fare per conquistarsi l’audience con i programmi normali, ripristinando la proiezione di bei film in prima serata e accaparrandosi i diritti per le partite di calcio. Ma forse sarebbe stato chiedere troppo, specie a chi è scarso di palle. A declinare le offerte mi ha aiutato lo schifo che provo per il mondo del calcio. Non è più roba per calciatori. Se ne sono appropriati i giornalisti e l’hanno ridotto un merdaio. Il calcio, invece, mi piace ancora, sarà perché lo praticavo da ragazzo, qualche partita mi siedo ancora a vederla, se trasmessa in chiaro, ma sopravvivo anche senza. Soprattutto evito lo stress di ascoltare gli intervistatori, che si rispondono da soli prima ancora di rivolgere le domande, che pongono domande il cui solo scopo è di seminare zizzania fra una squadra e l’altra, fra un allenatore e l’altro, che non perdono occasione per riesumare casi di incomprensione, piccole offese sfuggite ai protagonisti in momenti di eccitazione, nell’intento primo di riaccendere focolai pressoché spenti o di crearne di nuovi. Il grande spettacolo del calcio viene poi declassato in serata a una sorta di talk show, una vetrina di gran lusso, dove sono davvero in pochi a capire di calcio. Parlo anche di qualche grande e piccolo campione del passato, che non si limita a restarsene al sicuro nei limiti delle proprie competenze, ma sciorina vedute da grande allenatore, professione di cui sa poco o niente e che comunque non ha mai praticato. Non mancano uomini di spettacolo, che ogni tanto si credono su un palcoscenico e fanno grande sfoggio di battute stronze. Quanto ho ammirato Lippi, ogni volta che si alzava e se ne andava mandando i giornalisti a quel paese fra i denti. Quest’anno è stata la volta di Mourinho, a mandarceli, più o meno fra i denti, e loro giù a dire che il portoghese non ama la struttura del calcio italiano. Invece quello si è rotto le palle delle chiacchiere, dei pettegolezzi e delle domande cretine. Se le è rotte tanto che dopo aver vinto quasi tutto quello che c’era da vincere, saluta e se ne va a Madrid. Arriba España! Solo due cose sono infinite, diceva Einstein, l'universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima. Con la vela latina ci ho riprovato, stavolta con un po’ di corrente da Scirocco, mi aspettavo grandi cose, invece ha fatto di nuovo la stronza. Fuck! Sono rientrato a motore, incazzato nero, l’ho smontata e l’ho mandata al diavolo. Peccato, avrebbe potuto essere un grande amore. Da sotto il terrazzino sul giardino, spazio che ha funzione di magazzino, all’aria aperta ma ben riparato, ho riesumato la vela che il pittore mi ha venduto insieme alla barca. Mi era capitato di vederla in mare, un giorno, e mi era apparsa una cosa oscena, perciò l’avevo accantonata senza neanche provarla. Per fortuna è raro che mi disfaccia del tutto di qualcosa, di solito accantono for a raining day, come dicono gli inglesi, e il giorno di pioggia è arrivato. L’ho provata e ho avuto l’impressione che abbia voglia di restare. Mi sorprende che ne fossi rimasto tanto disgustato, nel vederla. Nel montarla l’artista doveva essere pervaso da impulsi creativi e concentrato su un’opera astratta. Purtroppo c’era poco vento e dovrò riprovarla ancora, ma la sensazione è che potrei anche innamorarmi di lei e dimenticare la delusione con la latina. Chiodo scaccia chiodo. Mentre scrivo mi arrivano voci dalla televisione nel tinello. Stanno intervistando Nino D’Angelo, credo che abbia pubblicato un libro. Sta dicendo cose che mi toccano nell’anima, che sembrano venire da un altro mondo. Frasi come , Quello che auguro ai giovani è il desiderio, e poi, parlando della povertà a Napoli al tempo dei suoi anni verdi, Ero contento, perché, pur nella povertà, avevo tutto quello che mi serviva, e certamente si riferiva al desiderio, che con il passare del tempo lo ha portato al successo. Nell’epoca del Vogliamo tutto e subito, vengono quasi le lacrime.

sabato 8 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì, 13 maggio 2010
Stamane il cielo era un po’ coperto, il sole sbucava a tratti e non faceva freddo. Per prima cosa sono andato a recuperare il cellulare, rispedito in ditta dal concessionario per un qualche guasto dopo un paio di mesi dall’acquisto. La commessa ha razzolato un pochino in uno scatolone e l’ha tirato fuori, poi con un sorriso connivente me lo ha mostrato. Incredibile, non ci contavo, anche se lo avevo riconsegnato da tempo. Però, appena entrato, avevo avuto un presagio, qualcosa sarebbe andato storto, e questo perché non avevo trovato la commessa di sempre. Non che a quella dietro il banco mancasse qualcosa o avesse l’aria della iettatrice o mi guardasse di sbieco, anzi era uno di quei tipi che ti sorridono come se ti aspettassero da chissà quanto. Ma l’inghippo era lì, davanti ai miei occhi. Mancava la batteria e l’altra, quella di sempre, si era dimenticata di annotare che l’avevo riconsegnata. La ragazza ha fatto un paio di telefonate ma non sono state sufficienti. Mi ha consigliato di tornare domani. Le ho lasciato il cellulare e sono andato al pontile. Una leggera brezza di Scirocco. Esco dal porto e isso la vela, opero una leggera modifica all’assetto sollevando il pennone di una decina di centimetri. Tiro la scotta e vado. La prima sensazione è buona. Provo qualche virata e la barca risponde. Mi allontano verso nord un trecento metri, poi comincio a bolinare per fare ritorno. Devo farne molte, di virate, ma ogni volta guadagno un po’ d’acqua e lentamente mi avvicino e, quasi non ci credo, arrivo fin sotto il molo. Non è il massimo, per fare trecento metri controvento ho impiegato un’iradidio, però ho navigato di bolina. Potrei perfino provare a entrare in porto con il vento, ma non mi pare una buona idea. In primo luogo si rischia una multa salata, e poi non so ancora quanto potrò contare su questa vela in presenza delle strane correnti d’aria che si formano all’imboccatura quando soffia Scirocco. Dopo un po’ ci ripenso e mi butto. Bingo. Ammaino e vado all’attracco. Mattinata da sballo, cellulare dimenticato. Resto qualche minuto seduto in barca a godermi l’atmosfera. Qui il mondo è diverso, e lo è dal momento che superi la barra dell’area portuale. Poche le cose che contano, ma immense. Il cielo, e appena entri ci dai subito uno sguardo per cercare di capire le intenzioni delle nuvole, il mare, che subito ti dice di che umore è, e se per toglierti la voglia di uscire e tirar su la vela devi rischiare qualcosa, il vento, tipo instabile e anche un po’ figlio di puttana, che a volte ti invita con brezze leggere, poi, in un attimo, ti ritrovi a ballare a denti stretti dentro una burrasca. Poco a poco, però, mano a mano che impari a conoscere le regole, appaiono meno pericolosi e diventano tuoi compagni di gioco. Ti tengono lontano da guai come l’obesità, a cui sembrano già destinati almeno un 24% dei bambini italiani, da gravi angosce come voler sapere a tutti i costi se Clooney sposerà la Canalis, dal degrado etico -linguistico dei talk show e dei reality, vedi Il Grande Fratello, a proposito del quale nessuno si è vergognato di scippare il titolo di un romanzo sociale serio, drammatico, perfino tragico, scritto da Orwell in corsa con la morte per riuscire a scrivervi la parola fine. Il fatto è che alla TV, canali nazionali e non, cazzeggiare necesse, o si rischia di vedere i budget pubblicitari, condizione di profitto e sopravvivenza sine qua non, dissolversi come nebbia al sole. Questo la dice lunga sul livello e le capacità critiche di un pubblico che pare abbia preso gusto a farsi scodellare spazzatura. Una volta c’erano la via della seta, la via delle spezie, che portavano agli europei ciò che di nuovo e di bello veniva prodotto dalle culture orientali, migliorandone le competenze e i gusti, e tutto sommato, anche la cultura, oggi abbiamo la via della spazzatura, che credo parta dagli Stati Uniti e raggiunga il continente europeo via Gran Bretagna. A parte quel poco di cui ho già detto, non ho niente contro gli americani, ma penso che dovrebbero smetterla di rompere i coglioni con il mito del self made man, successo a tutti i costi, il rispetto legato al successo a filo doppio, perché chi non riesce a conseguirlo con i mezzi leciti (se qualcuno ci riesce davvero), potrebbe cercare di procurarsene un surrogato con quelli illeciti, o più semplicemente bistrattando le già logore regole dell’etica sociale. Ma chi vuole cambiare? Chi ha la forza di cambiare? Se è vero che la vita semplicemente scorre, oozes, come dice Beckett in Aspettando Godot, alludendo allo scorrere di una melma, e se è anche vero che le donne partoriscono a cavallo di una fossa, un cambiamento potrebbe anche essere irrilevante, meglio tenersi i posti assegnati, limitarsi a percepire il disagio, ma senza approfondire, con vaghi propositi di cambiamento. Come al solito, se non ci sto attento, mi si appesantisce il discorso. Ma all’interno dell’area portuale, specie se seduto in una barca a goderti il sole e la brezza, sono riflessioni oziose.

giovedì 6 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Mercoledì, 12 maggio 2010
Oggi non ho voglia di scrivere. Sarà perché piove. Tempo addietro, la pioggia non mi dispiaceva del tutto. Per esempio, mi piaceva starmene in casa, al caldo, magari a scrivere o leggere un romanzo o guardarmi un film alla TV mentre fuori infuriava il vento e diluviava. Mi piaceva anche andarmene a spasso sotto l’acqua ascoltando il crepitio delle gocce sull’ombrello, cosa che però capitava di rado perché non ho mai avuto l’abitudine di portarmi dietro l’ombrello. Anzi, non ricordo di averne mai posseduto uno. Però non ho mai creduto a stronzate del tipo Com’era bello in due sotto l’ombrello, perché in due ci si inzuppa e se si mette a piovere forte sono cazzi, figurarsi se tira vento. In certe occasioni, meglio un bel riparo. Però questo piccolo amore per la pioggia ha ceduto senza riserve di fronte all’ubriacatura che mi sono preso per la vela. Da quel momento la pioggia è diventata sempre di più una rottura di scatole. Di quel piccolo amore non è rimasta neppure una cicatrice, che dico, un segno, come del resto accade anche per i grandi amori, quando sono davvero finiti. Neppure quel senso di malinconia che ti riporta il ricordo di cose belle vissute. Del resto, anche la Bibbia non è tenera con la pioggia. Una maledizione celeste. Quando la divinità ne ha abbastanza della dissolutezza degli umani, giù acqua per quaranta giorni e quaranta notti, il diluvio, la distruzione totale. Dico la divinità in genere, perché pare che il diluvio biblico non sia stato proprio universale, e molte altre parti del mondo, India compresa, abbiano avuto il loro diluvio celeste, a distanza di tempo, a partire da oltre seimila anni prima di Cristo. Concludendo, dovrò fare un salto al pontile. Sgottare necesse. Pare che nel Golfo del Messico non si trovi il modo di fermare la fuoruscita del petrolio dal fondo dell’oceano e che i pescatori, poveracci, dovranno cambiare mestiere. Gli americani fanno le cose in grande, è più forte di loro, in un grande paese anche le cazzate devono essere galattiche. Speriamo che facciano presto a tappare i buchi. Se va avanti così per qualche mese, dovremo andare a cercarci un bicchiere d’acqua sulla cima dell’Hymalaya. Tempo fa ho fatto un lungo giro degli States e devo dire che mi è piaciuto visitare città le cui immagini di continuo rimbalzano tra cinema e televisione, vedere gli americani a casa loro. L’unico fatto che mi ha colpito è che ci sono un sacco di obesi. La spiegazione è arrivata, chiara e forte, quando li ho visti mangiare nei Fast food. Per il resto, è gente normale, tranne per un paio di cose. Primo, la mania di esporre la bandiera a stelle e strisce fuori e dentro casa, lungo le strade, sugli edifici pubblici e su quelli privati, e dovunque è possibile farlo. Secondo, la smania di fare le cose in grande e la totale mancanza del senso delle proporzioni. A Santa Cruz, gettare un mozzicone per strada costava cento dollari. Fatti i debiti calcoli, si potrebbe stabilire a quanto potrebbe ammontare una multa per il mancato test di una valvola di sicurezza che sta uccidendo un oceano, ma non credo che qualcuno abbia pensato di farlo, né a Santa Cruz né altrove. D’ora in poi una petroliera che affonda sarà una quisquilia, magari armatori d’assalto si sentiranno incoraggiati a rimettere in mare vecchie carrette, cui uno starnuto basterebbe a procurare una falla. Se è vero, come sosteneva Socrate, che ogni cosa nasce dal suo contrario, non è difficile capire, anche in considerazione dei tempi che corrono, come siano nati mari e oceani che sono cloache a cielo aperto, il difficile è immaginare come da tanto putridume possano essere rigenerate acque limpide e incontaminate, così come ci sono state consegnate, in un eccesso di fiducia, da madre natura. Meglio smetterla qui, quando non ho voglia di scrivere, divento deprimente. Affidiamoci alla speranza. Dopo tutto, la Fenice è rinata dalle proprie ceneri.

domenica 2 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Martedì, 11 maggio 2010
E’ idea largamente condivisa che criticare le ASL è come sparare sulla Croce Rossa, per di più è anche deprimente. Niente di tutto ciò. La scenetta cui ho assistito stamane non è solo curiosa, ma porge il destro perfino a riflessioni filosofiche. Ho cominciato a sentire le grida di una voce femminile da lontano, ancora prima di imboccare il corridoio che porta all’accettazione di Radiologia, dove stavo andando a ritirare un referto. C’era una lunga fila. La donna dietro il vetro di protezione urlava come una pazza. Un tizio sulla sessantina, forse anche più, la fissava con il fare battagliero di chi non si vuole arrendere, mostrando l’avambraccio nudo e un cerotto che copriva il buco fatto da una siringa per un prelievo. L’impiegata lo accusava di essere andato a ritirare il referto fornendo la data del prelievo sbagliata, cioè quella dello stesso giorno. Di conseguenza lei aveva perso almeno una mezz’ora nell’inutile tentativo di rintracciarlo. Poi, solo per caso, aveva scoperto che il prelievo era stato fatto otto giorni prima e finalmente il documento era saltato fuori. Da parte sua l’uomo, deciso a non cedere e affermando ripetutamente di starci ancora con la testa malgrado gli anni, convinto che una prova tangibile funzioni meglio di cento discorsi, continuava a mostrare l’avambraccio nudo e il cerotto ancora appiccicato come testimoni di un evento molto più recente. Inesorabilmente contraddetto dalla data sulla busta del referto, che la donna continuava a sbattergli in faccia come una verità evangelica, pressato da una fila gonfia di un malumore che aleggiava rumoroso per il fastidioso contrattempo, l’uomo abbandonò la contesa, prese la busta e se ne andò brontolando come una pigna di fagioli in piena bollitura e continuando a mostrare l’avambraccio nudo a destra e a sinistra. Il fatto che il motivo del contendere non fosse un’idea, un’opinione contrastante, ma due realtà che si contraddicevano l’una con l’altra, merita considerazione. Entrambi le avevano sotto gli occhi, come pure la nuova realtà che entrambe generavano, il contrasto. E allora, perché il litigio? Avevo accennato a riflessioni filosofiche, ma non ho intenzione di complicarmi la vita né di complicarla a chi mi legge. Voglio solo riferirmi a una frase di Protagora: Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono. Il concetto viene chiarito da Socrate, quando si chiede come si possa dire se un vento è freddo, oppure che non è freddo, quando per alcuni è freddo e per altri non lo è affatto. Insomma, ciascuno percepisce la realtà a suo modo, spesso in maniera antitetica rispetto ad altri. Evidentemente la donna dietro lo sportello e l’uomo al di fuori non percepivano allo stesso modo il contrasto fra la data sulla busta e il segno di un prelievo recente sull’avambraccio dell’anziano. Non è spaventoso, supponendo che entrambi fossero in buona fede? Incomunicabilità, male eterno. Gravi, gli effetti collaterali. Basti pensare alla crescita esponenziale del numero di avvocati e ai procedimenti giudiziari ancora accatastati nelle cancellerie dei tribunali. Con la vela ho fatto progressi. Finalmente sono riuscito a piazzarla in modo che la barca non se ne vada in giro come una papera ubriaca. Però è insufficiente di bolina, non vince la corrente, non ti riporta a casa. Per fortuna il fuoribordo fa il bravo. Dovrò fare altre prove, forse anche allungare la deriva. Vedremo. Spero proprio di riuscire a sistemarla, questo tipo di vela mi piace da matti. Anche la scelta di una vela può essere un modo di complicarsi la vita. La vela latina fa parte di una serie di vele del passato, come la vela al quarto, quella al terzo, con il pennone alto e quello basso, e altre ormai fuori moda, neanche contemplate dai cantieri che sfornano barche da diporto. Le vele più comuni che si vedono di questi tempi sono la randa e il fiocco, dalle imbarcazioni di quattro metri fino a quelle di venticinque e oltre, belle ed efficienti. Io, invece, chissà perché, ho il gusto dell’antico, di quelle forme di vele primordiali che sembrano voler raccontare, con il loro aspetto di sopravvissute, vecchie storie di avventure sui mari. La prima conseguenza è che devo tagliarmele e armarle da solo, e anche provarle e modificarle volta per volta per renderle efficienti, il che può anche costituire un piacere, ma anche una gran rottura di palle, specie quando il vento si mette a fare lo scemo. Ho sentito dire che Totti ha cercato di ammazzare Balotelli durante la finale di Coppa Italia. Non ci credevo e me lo sono andato a vedere sul computer. Avevano esagerato, ha solo cercato di spezzargli una gamba. Di questi tempi, non è niente, Balotelli continua a giocare e il mito di Totti non è stato neppure scalfito. Va bene così. Mala tempora currunt sarebbe espressione obsoleta, e poi, il Latino, chi lo capisce più?

sabato 1 gennaio 2011

diario di un qualsiasi nessuno

Domenica, 2 maggio 2010
Ho provato e riprovato la vela approfittando del bel tempo. Non è andata bene, ma in compenso mi è passata la tosse. Iodio, ossigeno e aria di mare, meglio di cento sciroppi. Non sono riuscito a trovare il punto giusto dove fissare il pennone. Per quanto abbia provato, la barca non ha voluto saperne di un minimo di bolina. Il motore andava bene e non ho avuto problemi per il rientro. Per di più, dai e ridai, alla fine si è strappato il triangolino che regge il bozzello della scotta. So che è fatta con un telone e di conseguenza non mi è neanche venuto da smoccolare. Me la sono portata a casa, ho tagliato via il lembo sfrangiato e ci ho incollato un adesivo di rinforzo, poi la mia insostituibile parente merciaia ci ha piazzato di nuovo un occhiello. Ci riprovo alla prossima giornata di sole. Abbiamo trascorso il primo di maggio a otto chilometri da casa, in un vecchio cascinale dove organizzano feste paesane e feste contadine, tipo giornata della vendemmia e altre. C’è un’atmosfera di fine ottocento, gente che passeggia e conversa, tavoli all’aperto, non accatastati ma piuttosto distanti l’uno dall’altro, dove le famiglie siedono e si godono l’aria aperta in attesa di essere servite da camerieri in camicia bianca che sembrano sfiorare l’erba. Una buona varietà di cibo genuino e prezzi molto ragionevoli. La prima nota stonata è stata una cassiera. Siccome siamo andati a prenotare con un po’ di anticipo per evitare la fila, ci ha sommersi in un fiume di parole per farci sapere che non si veniva serviti in base all’ordine di prenotazione, che lei la sapeva lunga sul comportamento della gente, che era abituata a contestazioni del genere, che avrebbe voluto evitare discussioni spiacevoli. Tutto questo senza rifiatare un secondo e senza lasciarci il tempo di parlare, se non per dirle che eravamo venuti a goderci la giornata e non avevamo nessuna intenzione di altercare. Poi c’è stata una breve discussione fra me e mio figlio che insisteva per voler pagare e a questo punto la logorroica ha ripreso soddisfatta la parola. Secondo lei quelle poche frasi scambiate tra noi per tutt’altro motivo dimostravano che aveva ragione a prevedere che avremmo discusso. Ci siamo scambiati una sguardo interrogativo, evitando di replicare. A parte l’insignificante battibecco con la cassiera, tutto il resto si preannunciava come un’esperienza bucolica molto rilassante. Invece no. Mia nuora, che è vegetariana, ha trovato almeno una mezza salsiccia in un piatto di asparagi al parmigiano, dove le avevano assicurato che non c’era ombra di carne, e si è sentita male. Mia moglie, all’improvviso, ha accusato un mal di gola selvaggio e ho dovuto ricondurla a casa con trentotto e mezzo di febbre. Sono rientrato che mi stavo ancora chiedendo che cazzo era successo. Ma la risposta è sempre la stessa. A noi, razza umana, indiscussa signora di tutte le specie animali, non è dato programmare neanche dieci minuti del nostro futuro. Neanche uno. C’è chi vorrebbe perfino conoscerlo, il futuro. C’è chi paga decine di migliaia di euro a un esercito di mezzi busti millantatori per conoscere il futuro. Una buona parte di quei soldi potrebbero essere risparmiati. C’è un futuro individuale e un futuro collettivo e l’uno non può prescindere completamente dall’altro, e si potrebbe cominciare a lavorare per deduzione, tenendo conto degli accadimenti al presente, su quello che potrà essere il futuro collettivo. Non appare un compito difficile, considerando che la metà del pianeta è bruciato dalle guerre, che vengono accolte quasi con indifferenza le catastrofi ecologiche, anche inimmaginabili come quella che sta devastando le coste della Luisiana, che l’atmosfera sta diventando irrespirabile e sempre più responsabile di una caterva di cancri che ormai sono una pioggia inarrestabile, che investire una persona, o anche una decina, in stato di ebbrezza non è quasi più un reato, al massimo una grave disattenzione come si fosse investita una gallina, che i suicidi cominciano a soffrire di solitudine e sempre più spesso si portano all’altro mondo qualche familiare, che i posti di lavoro sono un miraggio, che i fallimenti societari sono diventati zuccherini quando intere nazioni sono sull’orlo della bancarotta, che coltelli e pistole a portata di mano abbreviano notevolmente la durata delle discussioni, che nessuno ha più voglia di giudicare sé stesso e riconoscere i propri torti, che ad attribuire la ragione o il torto non c’è una giustizia equanime e inflessibile ma una legge, pur piena di buoni propositi, appannaggio di una manica di legulei. L’elenco non è finito, naturalmente, ma c’è materiale sufficiente per una serie di deduzioni e uno sguardo d’insieme sull’orizzonte. E’ tuttavia probabile che a questo punto la curiosità sia svanita e ci basti augurarci che non arrivi niente di peggio, e siccome il futuro individuale non può prescindere del tutto da quello collettivo, a chi vuole ancora conoscerlo, tanti auguri.