Martedì, 5 giugno 2012
Quanto a scorrevolezza del verbo,
mi sento arrugginito come una vecchia ancora abbandonata da qualche parte in un
capannone. Nell’ultimo periodo mi sono dedicato, più che altro, a una attività
di manutenzione del mio personale patrimonio linguistico. Non so se ne ho già
parlato, ma mi sto rileggendo, devo dire con gusto, un romanzo di guerra scritto
da un aviatore tedesco. E’ intitolato Goetterdaemmerung
ueber der Normandie, Il Crepuscolo degli dei sulla Normandia. Dal titolo si capisce già che aria tira per i
tedeschi. Oltre che rileggermelo, mi soffermo spesso a verificare e precisare
il significato di alcuni vocaboli, a godere di qualche particolarità
sintattica, a cercare di comprendere il vero stato d’animo dei soldati
tedeschi, più che certi, in quei momenti, che Sigfrido stava passando la mano.
Diciamo che si tratta di una rilettura centellinata, privilegiata, da cui
sgorgano piacere e conoscenza. Al tempo stesso mi sono impegnato nella lettura spicciola
di un thriller di John Grisham, tradotto in tedesco con il titolo Der Anwalt, cioè L’avvocato. In proposito, due osservazioni. E’ preferibile tenersi
alla larga dalle opere più recenti di romanzieri che da decenni sguazzano senza
ritegno in una fama più che meritata, ma che a fine carriera possono
permettersi di pubblicare, sempre senza ritegno, opere che non avrebbero loro
consentito neppure di averla, una carriera. Con L’avvocato sono a pagina centottanta e spero ancora in qualche luce
improvvisa che mi folgori sulla via di Damasco. Temo tuttavia che sia la stessa
speranza che mi aveva sostenuto fino all’ultima pagina di The Broker, pure di Grisham, cioè fino al momento in cui mi sono
inequivocabilmente convinto di essere stato preso per il..per i fondelli per
centinaia di pagine. Non è il solo, Grisham, a divertirsi così. Tre o quattro
anni orsono ho ricevuto come regalo di compleanno un thriller di John Le Carré.
Dico, John Le Carré. Confesso che il titolo non mi aveva per niente
entusiasmato, Amici assoluti mi
pareva più il titolo di un saggio di sociologia a buon mercato. Però mi sono
detto che Le Carré ha scritto La talpa e
non è il tipo da scrivere cazzate. Invece le scrive, e come. Sono arrivato alla
fine solo come segno di rispetto del nome che porta. I nomi vanno rispettati,
almeno quelli. I nomi sono grossi chiodi piantati a mo’ di appigli in una
parete alta quanto la fine del tempo, grazie ai quali abbiamo potuto
arrampicarci fino a dove siamo ora. In Russia, molto prima della rivoluzione di
ottobre, il nipote di un famoso scienziato si presentò a un esame gravemente
impreparato e non fu in grado di rispondere neppure ad una delle tre domande
che gli vennero sottoposte. L’esaminatore non ebbe scelta, l’esame era
chiaramente fallito, ma non si sentì di scrivere un’insufficienza sotto un nome
per cui aveva tanta venerazione. In segno di rispetto, passò lo statino allo
studente e lo pregò di annotarvi l’insufficienza di propria mano. Dieci minuti
fa, quando mi sono seduto al computer, avevo voglia di scrivere qualcosa sulla
piega che aveva preso il pomeriggio, invece sono finito in Russia, ancora
peggio in una scuola. Sono tornato da poco dal pontile, dove ho potuto de visu ispezionare il meteo. Vento
forte, sopra i venticinque nodi, mare mosso, perfettamente adeguato al vento,
condizioni ideali per un vero sballo. Come al solito, però, è la consapevolezza
a rendere l’uomo codardo, e la mia personale consapevolezza riguarda le
condizioni dello scafo ultraquarantenne. Con la vetroresina ridotta allo spessore di un foglio di carta
velina e la conseguente ridottissima resistenza alla trazione delle sartie e ad
ogni forma di pressione esterna e anche interna, meglio soprassedere. Basta un
dannatissimo secondo perché il divertimento e lo sballo si trasformino in una estenuante
operazione di recupero di fiocco e randa, trascinati in mare dall’albero, per
il cedimento di una sartia, anch’esso da recuperare senza dimenticare il boma.
Tante amenità se sei fortunato e
l’incidente non ti fa scuffiare. In caso contrario, ti ritrovi in acqua, con un
mare del cazzo e sono cazzi tuoi. Rinunciando mi sono fottuto il pomeriggio, e
devo accontentarmi della compagnia di questa pagina di diario, ma la prudenza ha preteso voce in capitolo e ho
dovuto accordargliela, per non rischiare di fottermi del tutto. Sono molto più
arrugginito di quanto mi sentivo all’inizio di questa pagina. Infatti mi sono
dimenticato per strada la seconda osservazione a proposito di Der Anwalt, L’avvocato di John Grisham, scritto originariamente in inglese, con
azione che si dipana in ambiente americano, tradotto in tedesco. Ecco l’ostacolo.
Quando leggo Goetterdaemmerung ueber der
Normandie tutto fila liscio, non provo alcun senso di dissociazione fra i fatti che vi vengono narrati e la lingua
che viene usata per farlo, né fra la lingua e i sentimenti che vi vengono
espressi. Perché il libro è stato scritto da un tedesco, nella propria lingua, in
ambiente tedesco (la
Normandia era occupata dai tedeschi) e tutto fila liscio e in
armonia. Quando leggo Der Anwalt, è una
fatica conciliare una lingua rigorosa come il tedesco con il modo in cui si
esprimono i personaggi americani, in ambiente americano, nello stile americano.
Insomma, si avverte una discrepanza impossibile da ignorare. Sarebbe facile
obiettare che la stessa cosa dovrebbe accadere con l’italiano, forse anche a
ragione, ma certamente in misura meno rilevante. In primo luogo per via di
decenni di doppiaggi cinematografici interspersi di scritte, musiche e canzoni
in lingua originale che lentamente ci hanno portato ad avvicinare le due
culture, forse anche troppo, visto che tutta la merda di natura
socio-televisiva ci piove addosso dall’America, ma anche per l’innegabile fatto
che la sintassi italiana meglio si adatta a quella inglese. La cosa appare poco
credibile, trattandosi di una lingua anglosassone e una neolatina, ma di fatto
non lo è. Eviterò di spiegarne il perché, per non minare l’integrità degli
zebedei di qualcuno. Forse lo sto già facendo, perché ancora non la smetto. Concludo
perciò d’urgenza, con il proposito, d’ora in avanti, di evitare le traduzioni e
leggermi le opere originali in ciascuna lingua. Ci voleva tanto?