Lunedì, 28 aprile, 2014
Da un po' di tempo mi
capita di aver voglia di scrivere dopo la mezzanotte, proprio quando
il cervello non vede l'ora di sgombrarsi dai pensieri coscienti e
rendersi disponibile per quelli incoscienti, che di certo troverà
molto meno impegnativi. Ne consegue che dal sedici di febbraio non
scrivo una riga. Oggi è andata meglio. Il prurito alle dita è
arrivato con un bel po' di anticipo, infatti ho appena fatto merenda,
manca un quarto alle sei e da un paio di minuti siedo al computer a
chiedermi di che cazzo scrivere, visto che il solo prurito alle dita
non produce letteratura. Da una prima, blanda spremitura delle
meningi, il solo a balzare fuori è Bukowsky. Dove cavolo stava
rintanato? Saranno dieci anni che abbiamo perso ogni contatto. Ma
soprattutto, perché proprio lui? Ha scritto un sacco di porcate,
roba vomitevole, ma qualcosa di buono deve pure avermi lasciato, se
gli ho consentito clandestino anonimato nel cervello. Ha scritto roba
vomitevole, certo, ma cose di tutti i giorni, di cui si nutre e
ingrassa la cronaca cartacea e televisiva. A pensarci bene, lui non
ha fatto che invertire il punto di vista. Vedere le cose nell'ottica
dell'assassino, del ladro, del pedofilo, mettendo in luce le orribili
deviazioni di cui può essere vittima la natura umana. Di certo ha
favorito una maggiore e più attenta riflessione su tali problemi di
quanto non abbiano fatto i nostri celebrati conduttori di talk show.
Nient'altro? C'è ancora qualcosa. Da lui ho imparato quanto può
essere grande l'interesse che suscita il quotidiano. Non il giornale,
intendo la vita quotidiana. Tante le esperienze, le riflessioni che
svaniscono nel nulla ogni giorno. Il quotidiano contiene passato
presente e futuro e non c'è fiction di cui tema il confronto.
Ieri mattina tirava forte
vento e mi è sembrato il momento di provare la mia vela immensa e
policroma per l'ultimo test, quello decisivo. Lo aspettavo da un po'
di tempo, anche con qualche apprensione. Oltre a ripetermelo da solo,
sono in molti a dirmi che si tratta di una vela enorme e che quattro
metri di battana (la mia barchetta) potrebbero trovare difficoltà a
reggerla, se con forti raffiche. Visto che non posso permettermi di
pagare un collaudatore, raggiungo con il foribordo una zona sgombra
del porto e isso la vela. La mia, come credo di aver già spiegato, è
una vela latina e manca del pennone basso, cioè un corrispettivo
del boma della vela Marconi. Il che significa che il forte vento
spinge la vela a imparruccarsi (scusate si dice così, anch'io l'ho
imparato da poco) in cima all'albero e a creare una situazione di
pericolo. Per evitare che ciò accada, fisso la scotta in modo da non
permettere alla vela di sollevarsi troppo. Mentre sto armeggiando con
cime e puleggie, mi si avvicinano dei tizi in barca chiedendo di
poter scattare delle foto. Faccio cenno che possono farlo e mi arriva
una raffica da sud-est che mi fa scivolare sulla superficie con tutta
la fiancata. Niente di grave, ma mi piacerebbe vedere la foto, se
l'hanno scattata. Quando finalmente supero il molo di protezione
uscendo dal porto, il vento colpisce la vela con violenza, ma lei non
fa una piega. La barca si inclina leggermente e fila velocissima
verso il largo. La prima conclusione, dunque, è che la vela funziona
come si deve. Manca un ultimo test. La virata. A mezzo miglio dal
molo ci provo. Una volta, due volte. Niente da fare. Il vento si
porta via la vela ed è pure rischioso Decisamente qualcosa non va.
Ammaino la vela e accendo il fuoribordo. Rientro in porto incazzato,
ma non del tutto. Qualcosa è andato storto, è vero, ma mi aspettavo
di peggio.
Quanto al nuovo romanzo,
se da un lato vorrei tanto cominciare a scriverlo, dall'altro una
ragguardevole pigrizia cerebrale mi impedisce di concepirne la trama.
Desiderio e pigrizia si bilanciano a perfezione e nel mezzo ci sono
io in ormai prolungatissima fase di stallo. Per rimanere in
allenamento ho deciso di descrivere qualche personaggio interessante
se via via mi capita di incontrarne. Il primo l'ho scovato dietro il
bancone di un bar. Una ragazza. Ecco il personaggio che ne è
scaturito:
Era stato per caso che
l'aveva già vista servire ai tavoli, in quel ristorante. Adesso era
lì, dietro il bancone del bar, e gli stava chiedendo cosa volesse,
ma glielo stava chiedendo con gli occhi, senza parlare. Per la prima
volta notò il suo sguardo. Notò anche il suo viso, per la prima
volta. Notò anche la naturalezza con cui gli si rivolgeva, il piglio
sicuro, che sembrava però celare un sorriso tutto interiore, che
nulla aveva anche fare con ciò di cui si stava occupando al momento.
La sua era l'aria di una donna soddisfatta e per questo doppiamente
attraente. Si sarebbe sentita a suo agio davanti a una cinepresa, su
un palcoscenico, neppure al timone di uno yacht quei magnifici occhi
avrebbero battuto ciglio. Il suo viso esprimeva un'idea
classicheggiante, non molto accentuata. Infatti non era quello il suo
maggior pregio. Ciò che lo colpì davvero ne fu il taglio
indefinito, come se nel momento della nascita qualcuno avesse voluto
riservarsi un attimo di riflessione mai giunto a compimento.
Quell'attimo era ancora presente sul suo viso e ne costituiva
l'incanto.
Cosa
potrei farne? Una spregiudicata ladra, una spietata assassina, una
brillante investigatrice, una stella della celluloide? Il prossimo
personaggio, se ce ne sarà uno, potrebbe anche chiarirmi le idee.