sabato 22 dicembre 2012

diario di un qualsiasi nessuno

Confesso di aver sempre avuto un animo conservatore, forse perché di carattere riservato,alieno dal condividere entusiasmo per le tante novità che di volta in volta è venuta proporre al popolo l'urgenza consumistica, senza neppure tenere in considerazione l'ipotesi, spesso peraltro non suffragata dai fatti, che all'interno di un dato numero di scatole craniche dovrebbe risiedere un numero corrispondente di funzionanti cervelli. In ogni caso, tale considerazione avrebbe riguardato soltanto il livello etico delle varie proposte e non certo quello pratico e tanto meno il risultato, per cui, datasi tale consapevolezza,  si sarebbe trattato di una forma di finto rispetto. tutto sommato di una grossa ipocrisia. Quando sono stati messi in vendita gli adesivi pubblicitari, per dirne una, ho pensato che qualcuno fosse andato fuori di testa  a voler crearsi un mercato di sprovveduti disposti a pagare per pubblicizzare questa o quella griffe. Il risultato di questo mio continuo stato di allerta è stato di ritrovarmi nei guai per aver trascurato l'avvento del computer e aver preferito per anni a picchiare i tasti della mia vecchia Olivetti. Quando ho cercato di porre riparo, ero ormai irrimediabilmente indietro. Mi sono dato da fare, sono perfino riuscito a crearmi un blog (tutto da solo, non ridete), ho chiesto un po' a destra e un po' a sinistra e mi pare di aver raggiunto un livello, come dire, di sopravvivenza.  Il guaio è che l'ignoranza ignora perfino cosa sia la quiete, perché non esiste quiete nell'ignoranza. L'ignoranza viene derisa, calpestata, scoperta più o meno di proposito, mai ignorata. Quanto alla mia ignoranza dei sentieri informatici,  è proprio Google, incredibile, che viene a sconvolgere quelle che ritenevo le poche, acquisite certezze. Per apportare miglioramenti, così dice, a conferma di qualcosa che già sapevo, cioè fiutare pericolo se qualcuno viene a dirti che vuole migliorarti la vita..

martedì 31 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Lunedì, 30 luglio 2012. Il tempo vola e non è solo un modo di dire, siamo già a fine mese, anzi no, manca ancora un giorno. Luglio e Agosto sono i due consecutivi di trentuno, quindi domani sarà ancora luglio. Come ragionamento non fa una grinza, però mi pare ugualmente un po’ squinternato. Il fatto è che sto traducendo un romanzo dal francese e mi sono un po’ stancato e ho pensato di riposarmi buttando giù qualche riga. Evidentemente mettendosi a scrivere non ci si riposa. Anzi, si rischia qualcosa. Comunque, ormai il computer è acceso, perciò vado avanti. Non si fa che sentir parlare delle difficoltà dei comuni a far quadrare i conti, tanto che a forza di lacrime si sono fatti assegnare disponibilità sull’IMU, che pare abbiano intenzione di sfruttare senza remore e senza riserve, affibbiandone spudoratamente il sovraccarico ai contribuenti salvaitalia. Tuttavia, considerata la velocità con cui si succedono gli eventi, le leggi, le stronzate epocali, i ripensamenti e le lacrime, la faccenda dell’Imu ai comuni è già storia antica. Una storia più moderna, almeno per me, è forse quella delle contravvenzioni agli automobilisti, il cui importo, giuro che non lo sapevo, appare nel bilancio di previsione di ogni comune. Non solo vi appare come previsione, ma pare che vi appaia proprio come adempimento imposto ai vigili urbani, non tanto come operazione di sicurezza per chi percorre le strade italiane, ma soprattutto come fonte di entrata da accostare all’ormai iniquo prelievo fiscale. In città come Milano l’ammontare delle contravvenzioni  supera già i cento milioni di euro all’anno.  Si dice che, sulle ali dell’entusiasmo per tali risultati, città grandi e piccole, cittadelle, nonché comuni e minicomuni si siano rimboccati le maniche per fare un po’ di conti e stabilire la percentuale di aumento per l’anno seguente. Il bilancio di previsione, quanto alle multe, sta per cambiarsi in un bilancio di imposizione, e i poveri vigili non avranno altra scelta che obbedire e beccarsi tutti gli accidenti che gli automobilisti loro riserveranno all’occasione.   

domenica 29 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Domenica, 29luglio2012. Ma come cazzo funziona la faccenda dei prezzi? C’è la crisi, c’è la recessione, c’è penuria di quattrini e i prezzi aumentano. Un paio di sere fa sono passato con mia moglie dal gelataio. Due piccoli, abbiamo chiesto. Quello ci guarda e ci fa -I piccoli costano due euro- E chi te l’ha chiesto? Poi mi ricordo che la volta precedente costavano un euro e settanta. L’aggiunta di panna era gratis. Dunque, un cono piccolo è aumentato più o meno di seicento lire. Sarà stato il rapporto con la lira a farmi incazzare. Seicento lire, da un giorno all’altro. -Bravo- gli dico, -sempre pronto a dare una mano al prossimo, eh?- Evidentemente ci capisce poco, ma mi lancia uno sguardo vagamente sospetto.
-Scommetto che fai pagare anche la panna- gli dico, senza una ragione.
-Certo- mi fa, -prima costava poco, adesso costa di più- Stavolta sono io a capirci poco.
-Ce la vuole la panna?- Gli istinti aggressivi ti colgono all’improvviso, inattesi.
-No, mangiatela tu se te ne avanza- Mi guarda di sbieco.
-Che modi!- brontola. Ha ragione, e neanche sa che avrei tanta voglia di ficcargli quella faccia di cazzo dentro una delle sua vaschette. Mia moglie mi guarda preoccupata. Non resta che pagare e andarsene.  

sabato 28 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Sabato, 28 luglio 2012. Se è vero che le piante sono in grado di percepire le note musicali, e che hanno perfino delle preferenze a seconda della specie, tanto da far sorgere problemi su quali dischi farle concentrare per farle crescere belle e soddisfatte, è anche possibile, perché no?, che le barche percepiscano le incazzature e si regolino di conseguenza. Stamattina ci saranno stati dodici nodi di scirocco, più o meno, e finalmente me li sono potuti godere come cristo comanda. Lo strallo è rimasto saldamente al suo posto e le sartie pure. All’attracco ho incontrato un amico sposato con un’inglese. In genere passano l’estate in una bella barca di dieci, dodici metri, ma stanno pianificando di trasferirsi in India armi e bagagli. Che farai poi, in India? Il falegname, mi risponde, quello che faccio in Italia.  Beati loro. Mi spiega che  per poter vivere bisogna limitare al massimo, se proprio non si riesce ad eliminarli, quelli che lui chiama gli adempimenti, cioè bollette da pagare, documentazioni, dichiarazioni ecc., ai quali dedichiamo almeno un terzo della nostra vita, e vivere il presente. Non siamo abbastanza per organizzare un girotondo, ma la pensiamo allo stesso modo. Molto meno tranquilli saranno i centocinquantamila esercenti o piccoli artigiani che stanno per chiudere bottega per colpa degli affitti. Così leggo. Per colpa degli affitti. Poco conta la recessione, la mancanza di ordinativi, l’enorme calo dei consumi interni cui hanno contribuito celebrati geni dell’economia cui non è stato neppure necessario impegnarsi al limite della loro genialità per  raschiare le tasche degli italiani e non solo quelle, visto che siamo un paese virtuoso e gli italiani tengono di certo qualche soldo da parte. Quanto al settore immobiliare, vi sono scarsamente coinvolto, in quanto proprietario di mezzo appartamento e mezzo garage, quindi potrei anche considerarmi al di sopra di gravi sospetti. Se mi incazzo, è solo perché la televisione e la stampa vogliono prendermi per il culo. E’ un teatrino che va avanti da mesi. Malversazioni, furti e sprechi contrabbandati per qualcosa di diverso. Gli immobili sono come gli stipendi. Non ci sono magie per farli passare inosservati al fisco. Alla ditta Monti & Company è sufficiente stabilire allegre percentuali, più alte sono meglio è, sicuri al 100% di colpire il bersaglio fino all’ultimo centesimo. Di recente ho anche scoperto, non ci credevo, che quando gli affittuari non pagano, i proprietari pagano le tasse anche per le cifre che non hanno incassato, a meno che non esibiscano una sentenza di sfratto, con conseguente aggiunta di spese legali alla cifra in mora che l’affittuario in fuga non pagherà mai.  Equitalia non sente ragioni. E oggi di affittuari che non pagano, anche per le abitazioni, ce n’è un’intera galassia. Il possesso di immobili, anche di piccola entità,  costa un fracco di soldi, visto che ormai c’è chi ha paura di darli in affitto, e sono in tanti, e hanno pure ragione, perché pare che la legge italiana consideri i proprietari di immobili degli sfruttatori figli di puttana che non meritano equa spartizione di diritti e doveri con gli inquilini. Se ti allontani da casa e  qualcuno ne approfitta per occuparti l’appartamento, magari con tutta la famiglia, e magari ti cambia pure la serratura, devi stare bene attento a contenere la voglia di sfondare la porta e cacciare tutti a calci in culo, perché la legge italiana non è dalla tua parte. Mi pare di aver capito che rischieresti un’accusa di violazione di domicilio, solo per rientrare in casa tua. Cos’è diventato questo paese? Non sarebbe più corretto scrivere che se centocinquantamila esercenti rischiano di chiudere bottega, la colpa, più che degli affitti che fino ad oggi non avevano fatto chiudere nessuno, è se mai dell’allegra politica, dell’allegra amministrazione degli introiti dello Stato, che non sono certo una panacea contro la crisi e la recessione? La smetto. In questi ultimi giorni mi sono incazzato a sufficienza con la barca, figuriamoci se ho voglia di mettermi a discutere con la stampa. Tanto, lo sanno tutti che è una gran puttana.

giovedì 26 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Mercoledì, 25 luglio 2012. Nascosto nell’ombra, nell’anonimato, nel buio dell’ignoto, qualcuno ha realizzato un minuscolo modellino della mia barca e poi ci ha infilato una quantità di spilli, anche una scatola intera a giudicare dell’efficacia. Pare che non mi riesca più di uscire in mare senza rischiare la catastrofe. Altro che Vichingo, fra poco mi appiopperanno un altro nome, di certo molto meno lusinghiero. Verso le tre del pomeriggio raggiungo il pontile, in compagnia della solita apatia voglia di far niente che da un po’ di giorni mi si è appiccicata addosso come una mignatta. Soffia uno sciroccale, forse il vento che preferisco, che  peraltro manifesta chiare intenzioni di portarsi da una dozzina fino almeno a una quindicina di nodi. Si sente subito quando il vento ha  voglia anche lui divertirsi e di fare un po’ il matto, magari anche con qualche raffica a sorpresa per inclinarti di colpo la barca e farti salire almeno un po’ l’adrenalina. Queste le premesse, con le quali nulla ha a che vedere quanto poi realmente accade. Le prime virate all’interno del porto vanno bene. Quando esco lasco le vele per allontanarmi dal’ultimo molo che mi copre il vento, appena soffia di nuovo cazzo la scotta e vado al largo. La barca si inclina e comincia a giocare con le onde, io mi diverto con lei, poi smetto di divertirmi quando mi va l’occhio sullo strallo di prua che dondola  come il pendolino di un rabdomante. O di un ipnotizzatore, che rende meglio l’idea, visto che resto a fissarlo per qualche secondo con sguardo catatonico. Quando cede una sartia laterale l’albero e le vele finiscono direttamente in mare dalla parte opposta, il danno più grosso è la fatica che ti costa recuperarli, o al peggio di abbandonare tutto in acqua se c’è mare grosso e le cose vanno storte. Se si libera uno strallo, invece, l’albero cade dritto verso la poppa mettendo in pericolo tutto quello che trova sulla sua strada, testa inclusa, se ti coglie di sorpresa. Per di più, facendo leva sul sedile, l’estremità in basso può causare uno sfacelo a prua. Questa la situazione. Per il momento il vento gonfia le vele e spinge l’albero in avanti, perciò il vero pericolo si presenterà alla prima virata, quando per qualche attimo la prua sarà sottovento. Per fortuna, se è il caso di dirlo non lo so, mi è già accaduto diversi anni fa, e quella volta è andata bene. Non devo fare altro che ripetere quanto già fatto. Mi metto in bocca uno spinotto e una coppiglia, fisso il timone con una cimetta e lasco un po’ la randa e il fiocco per evitare di fare scuffia, poi mi distendo sulla prua e raggiungo l’estremità dello strallo penzoloni. Sto filando a tutta birra. Lo spinotto dell’attacco è scomparso, con tutta la coppiglia. Come cazzo ha fatto? Provo a reinserire lo spinotto che ho in bocca. Niente da fare, l’albero strattona da matti. L’altra volta ci sono riuscito, stavolta no, perciò necessita una variante. Raccolgo un pezzo di cima e ne infilo un capo nella redancia all’estremità dello strallo, l’altro nel moschettone che regge il fiocco. Tiro con tutta la forza, tra uno strattone e l’altro, e alla fine riesco ad annodare. E’ andata. Avrò percorso almeno un miglio. Torno al timone, virata e rientro. Tutto bene, ma sto cominciando ad averne abbastanza, anzi, per dirla tutta, a rompermi i coglioni.  

domenica 22 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Domenica, 22 luglio 2012. Ho finito di leggere Der Anwalt (L’avvocato) di John Grisham, traduzione in tedesco dall’inglese. Quattrocentoquarantasei pagine per sviluppare una trama statica, noiosa, priva di ogni possibile apertura che possa destare curiosità o interesse. Quel figlio di puttana sa scrivere, nessun dubbio, ma il fatto che sia ben scritto non può essere la sola attrattiva di un romanzo thriller, specie quando ti accorgi che la maggior parte dell’impegno dell’autore è tirarla per le lunghe e, tutto sommato, prendere il lettore per il culo. Caro John, se mi verrà ancora voglia di godermi il tuo stile, andrò a rovistare fra i tuoi primi successi e sicuramente potrò godermi anche una bella trama. Dopo settimane di calura africana, oggi finalmente piove e tanta gente smetterà di imprecare. Quanto a me, il caldo d’estate mi va più che bene e mi andrebbe bene anche d’inverno, ma nel lungo corso dei miei giorni  ho imparato ad apprezzare quello che mi viene dato. Anche il freddo ha i suoi pregi. E’  una sorta di ritorno alla realtà dopo l’evasione estiva, una ripresa della creatività. Se è vero che i nordici sono più attivi e intransigenti dei meridionali ci sarà un motivo. Con il computer sto facendo piccoli progressi. Stamattina sono riuscito a collegarmi a Windows Live   Messengers, cioè ho creato l’account (mi pare che si dica così) ma non so che accidenti farne. Funziona come un normale account di posta elettronica o c’è qualcosa di diverso? Propendo per la seconda ipotesi, ma sarà necessario che qualcuno mi spieghi. Dovrò decidermi a frequentare un corso di informatica per ibernati. Qualcosa del genere esiste già, credo. Mi informerò meglio. Ieri mattina mi sono sbarazzato di una pericolosa apatia e sono salito in barca, con una decina di nodi di scirocco che poi è calato sul mezzogiorno. Onde tranquille, una passeggiata riposante, anche troppo, non valida come collaudo delle nuove sartie d’acciaio. Andrà meglio la prossima volta, non prima di tre giorni, visto che il maltempo pare voglia protrarsi fino a mercoledì.  

sabato 21 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Sabato, 21 luglio 2012. Cosa è successo negli ultimi giorni? Diverse cose, ma fatico a ricordare. Mi sono sbarazzato dello strallo e della sartia rimasti dopo l’incidente e ho provato a sostituirli con delle cime robuste. Naturalmente è stata una baggianata, perché avrei almeno dovuto servirmi di cime prestirate, che non si allungano sotto sforzo e costano un’iradidio. Sapevo che quelle di cui mi sono servito erano poco adatte, ma ho voluto provare lo stesso. Esperienza diretta, il solo modo per imparare davvero. Altroché se ho imparato, e a darmi una mano (si fa per dire) è stata un po’ di maretta che ho trovato appena fuori del porto. Nel giro di un cinquecento metri le cime si erano stirate a tal punto da minacciare la stabilità dell’albero, che si era masso a ballonzolare e si agitava minaccioso. Ho dovuto tirar giù randa e fiocco in gran fretta, mettere in moto il fuoribordo e rientrare in porto, spingendo l’albero in avanti con la mano durante il tragitto per tirare le sartie ed evitare che continuasse a minacciare disastri con la sua danza perversa. Quanto all’esperienza diretta, ha il vantaggio di non lasciare spiragli all’incertezza. E’ il lato positivo del rischio. Ho sostituito le cime con tre cavetti piombati e l’incidente è dimenticato. Dovrebbe esserlo, almeno per qualche anno. Che altro ricordo dei giorni scorsi? Il computer. Era da un pezzo che rompeva, perciò mi sono deciso a fargli dare un’occhiata dal tecnico. Risultato, aggiunta di memoria, un mouse andato fuori di testa, sessanta euro che hanno cambiato portafoglio e la scoperta di aver comprato un computer nuovo un paio di anni fa probabilmente assemblato con parti già vecchie di sette, otto anni. Informatica, accozzaglia di menti geniali e di lupi alla caccia di pecore da sbranare. Quanto al piccolo portatile che tengo ancora da parte, vecchio di non ricordo più quanti anni e di cui mi sono servito fino all’acquisto di questo bidone e di cui mi servo ancora ogni volta che il bidone è in riparazione e che stavolta sembrava anche lui voler dare di matto, tutto si è risolto con il nuovo mouse.  Pare che non mi venga altro in mente, tranne che per una storia o per l’altra non sono andato più in barca. La cosa peggiore è che me ne sta passando la voglia. Mi è capitato solo una volta di passare un’estate senza uscire quasi mai con la vela. Ricordo che non avevo neppure  voglia di uscire di casa. Passai la bella stagione rinchiuso nello studio a confrontarmi con i fenomeni linguistici del mio dialetto. Incredibilmente ne è venuta fuori una vera grammatica, che attualmente è in biblioteca e pare sia di aiuto a chi scrive poesie in dialetto. Di solito i miei hobbies non interferiscono l’uno con l’altro e credo che ciò sia accaduto in quella sola estate. La cosa importante è che il tempo non sia andato perduto. In fondo, un hobby vale l’altro.     

mercoledì 18 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Mercoledì, 18 luglio 2012. Caldo asfissiante, scarsa, molto scarsa ventilazione, condizioni molto, molto sfavorevoli per la vela, quindi sono uscito in mare. Consapevole che il “quindi “ ci sta come un paio di galosce a Ferragosto, mi spiego. Per una ragione o per un'altra, nei giorni scorsi sono rimasto a terra, perciò avevo una gran voglia di uscire e l'ho fatto nelle condizioni peggiori. E' un ragionamento logico? All'occasionale lettore l'ardua sentenza. Dicevo, sono uscito in mare, mi sono rotto le palle per un'ora e mezza aspettando un soffio di vento decente, che non è mai arrivato. Visto che non ne valeva la pena, sono rientrato un po' in anticipo, così me la sarei presa comoda e sarei andato in tutta calma a riprendere mia moglie dal bagnino per riportarla a casa. Mai fare programmi, tanto finiscono quasi tutti a cazzo di cane. Al rientro ho attraccato a prua, ma il galleggiangte di poppa era sparito. Impossibile lasciare la barca attraccata in quelle condizioni, perciò il seguito è stata una faticata che non ti dico per recuperare il galleggiante, che era affondato di almeno un metro e mezzo. Sono arrivato comunque in tempo per recuperare mia moglie e per fare onore agli spaghetti alle cozze che mi aveva annunciato dal giorno avanti. Squisiti. Molto meno invitante si sono invece presentate le cozze attaccate alla fune collegata alla catenaria, quando sono andato a finire il lavoro nel pomeriggio. Ne saranno state un mezzo quintale, e non mi meraviglio che il povero galleggiante faticasse tanto a galleggiare. Forse esiste una sorta di par condicio fra cose e persone per cui anche il galleggiante deve avere le sue rotture di palle.

martedì 17 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno

Martedì 17 luglio 2012. Se mi metto a scrivere è per disperazione. Sono le 18,45 e mi sono già fumato la terza sigaretta, quella che nel rispetto di adamantini propositi avrebbe dovuto essere l'ultima della giornata. Secondo programma, una dopo pranzo, una verso le 18,00 e l'ultima dopo cena. Evitare di fare programmi, tanto il più delle volte finiscono tutti a cazzo di cane. Il fatto è che da un po' di giorni sforacchio quello che per mesi, salvo qualche rara eccezione, è stato l'invalicabile limite. Tre sigarette nelle ventiquattro ore, con un recondito proposito di ridurle ulteriormente. Sono ancora in tempo, ma sento che è il momento della verità. Qui si parrà la mia nobilitate, si fa per dire. Il fatto è che le incazzature, in fatto di fumo, sono micidiali. Ti appaiono come un buon motivo, una via di fuga, cinque minuti di sollievo per distendere i nervi, una scusa che ti solleva da ogni responsabilità, e il peggio è che le responsabilità verso te stesso sono le più gravi e proprio quando credi di poterle scansare con un misero pretesto, è quello il momento in cui ti freghi da solo, perché prima o poi ti ricadono addosso come furie scatenate e non ti lasciano scampo. In fatto di fumo le incazzature sono letali per ogni lodevole proposito, ma tenere bene a mente che quando si scatenano ruggendo nelle tue orecchie che sei una testa di cazzo  a te non resta che approvare e unirti al coro. Razionalizzare, razionalizzare, ma senza esagerare, e soprattutto non pro domo tua, o rischi di prenderti per il culo. Voglio dire, quello che occorre è un razionalizzare semplice, quel tanto che basta per capire che fumare tre sigarette è meglio che fumarne cinque o dieci o chissà quante se ti lasci portare dal vento di levante che va in culo al navigante, e soprattutto che se sei il primo a trascurare le tue convinzioni, chi cazzo vuoi che ti ascolti?.

martedì 10 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Martedì, 10 luglio 2012. Siccome continuano a girarmi le palle per un paio di faccende foriere di problemi dalla soluzione difficile, e aggiungo che una mancata soluzione potrebbe in futuro portarsi appresso un sovraccarico di problemi ancora più gravi, e siccome la cosa mi preoccupa al punto che spesso penso fuori dalla testa, anche quando sono alla guida, e mi capitano disattenzioni epocali e per fortuna pare che  qualcuno non voglia che mi faccia male e mi dia sempre una mano ad evitare disastri, anche se stamattina deve essersi un po’ distratto quando ho sfiorato un’auto in sosta danneggiando lo specchietto e dovendo risolvere la cosa con un trasferimento volante di cento euro dal mio ad un altro portafoglio, siccome continuano a girarmi, dicevo, sarà meglio trasferire la mente alla tranquilla contrada maltese. Oltre che la guida a sinistra, dagli inglesi hanno ereditato anche il rugby, non solo gli uomini, ma anche le donne, e pare che a livello europeo vadano forte.
Quanto al calcio, la faccenda è un po’ più complessa, perché non ha una nazionale da grandi imprese. Il tifo invece è straordinario e a questo punto la domanda è -Per chi tifano?-  Si sa che a Malta vive un concentrato di gente delle più disparate origini, perciò ciascuno ha una propria nazionale per cui tifare. La maggior parte però dovrebbe essere di origine inglese o italiana, perché
durante la partita Italia Inghilterra non c’era quasi più traffico e le strade erano deserte e, dopo che  Diamanti ha infilato l’angolino della porta di Hart, si è scatenato un inferno di automobili che hanno preso a scorazzare per il centro agitando il tricolore della vittoria. Forse neanche in Italia erano così elettrizzati. Di certo avrei altro da aggiungere, ma non adesso. Il movimento rotatorio di palle ha ripreso il sopravvento.

domenica 8 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


 Domenica, 8 luglio 2012. Ho accompagnato tanti studenti all’estero, in gite organizzate come vacanze studio per il perfezionamento dell’inglese, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra. C’erano anche altre destinazioni, fra cui Malta, ma non l’ho mai scelta. Avevo il sospetto che l’inglese parlato per le strade di Malta non fosse gran che e non mi sbagliavo. Quest’isola, anzi, queste tre isole sarebbero rimaste per sempre al di fuori dei miei itinerari se non fosse per il fatto che da qualche anno ci lavora mia figlia. Imperscrutabili percorsi della vita. Immaginare, quando era ancora un cucciolo, che un giorno mi avrebbe portato a Malta! Passare una settimana con un figlio non è necessariamente bello, ma in questa occasione lo è stato. Una forte emozione vederla muoversi nel suo ambiente e rendersi conto che ha tagliato definitivamente il cordone ombelicale e che ne è orgogliosa. Me ne sono sentito orgoglioso anch’io, anche se con meno merito.  Naturalmente i maltesi hanno ereditato la guida a sinistra dagli inglesi e pare non intendano cambiare. Basta distrarsi un attimo e si ha l’impressione di trovarsi dal lato sbagliato con conseguente stretta da brivido. Lentamente ci si fa l’abitudine. E’ la segnalazione delle località, piuttosto, e ce ne sono tante, motivo di qualche inquietudine. Naturalmente per chi non è del posto, visto che l’isola, tutto sommato, è piuttosto piccola.  Insomma, capita facilmente uscire da un piccolo centro abitato e ritrovarsi dopo qualche chilometro in aperta campagna davanti a un bivio senza indicazioni o con segnali stradali dall’inesplicabile presenza. A volte solo tratti desolati, pressoché disabitati, e si rischia lo sconforto. Tuttavia Malta è davvero una piccola isola, e bastano un paio di tentativi per ritrovare la strada. A Gozo, l’altra isola abitata, credo poco più piccola di Malta, mia figlia ha voluto mostrarci le saline. Dove avevo già visto le saline? Forse da qualche parte in Sicilia, ma non mi è venuto in mente. Ci si è avvicinato un tizio, un altro turista, che ci ha spiegato in ottimo inglese come funzionavano le saline. Inondazione, evaporazione, raccolta del sale. Lo sapevamo già ma abbiamo ringraziato lo stesso. Aveva un ottimo accento, di certo era un inglese vero. Al ritorno, di nuovo qualche problema con i cartelli indicatori, poi finalmente siamo arrivati al porto e ci siamo messi in fila con le altre auto dietro la poppa del traghetto, aspettando che aprissero la barra per farci salire a bordo. Invece non è andata così. Il ferry se n’è andato senza neanche uno spernacchio di saluto e noi siamo rimasti a guardarlo mentre filava via. Evidentemente era già carico. Un’ora dopo ne è arrivato un altro e tutto è proceduto secondo canone.          

sabato 7 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Sabato, 7 luglio 2012. Si vede che non è un bel momento, ieri ho perfino sbagliato la data in entrambi i post. Ho scritto cinque luglio invece di 6 luglio. Non posso neppure pensare a un subdolo tentativo dell’inconscio di prolungarmi la vita di un giorno, perché, incazzato come sono sin da quando mi sveglio di primo mattino, esso potrebbe solo venire attribuito ad una forma irrimediabile di autolesionismo. Francamente, anche in presenza di una normale incazzatura quotidiana, diciamo quella più comune da telegiornale, allungare la vita di un giorno potrebbe anche non essere così desiderabile. Invece di morire nel tuo letto potrebbe scoppiarti un vulcano sotto il culo, deragliarti un treno fin dentro casa, crollarti un edificio addosso per un terremoto, pioverti in testa un frammento di navetta spaziale, essere accoltellato o ammazzato di botte da un rapinatore incarognito, finire sotto un’autobotte o perfino prendere parte da protagonista all’annunciata fine del mondo. Si potrebbe obiettare che il peggio è perdere la vita e il modo in cui si muore ha poca importanza, ma la storia smentisce. Negli anni della Santa Inquisizione, ai condannati al rogo che confessavano la propria eresia veniva concesso, in premio, il taglio della testa prima di essere dati alle fiamme. La settimana scorsa sono tornato da Malta, naturalmente in aereo. Un’ora e un quarto di volo con larghi squarci di sereno e sotto gli occhi un’immensa carta geografica della Sicilia e delle coste meridionali  del Tirreno. Lo stesso spettacolo che per alcuni si è tragicamente interrotto a Ustica. Ce n’è voluta per togliermelo dalla testa, guardando dall’oblò. Dicevo di Malta, leggermente più a sud delle coste della Tunisia, clima africano. Pare che la lingua derivi da un dialetto arabo che si parlava in qualche zona della Sicilia, ma tutti sono in grado di esprimersi in italiano e in inglese, almeno per quel tanto che garantisca la sopravvivenza a chi si avventura da quelle parti. Figurarsi vedersi costretti a gesticolare disperatamente con quaranta gradi all’ombra. Sarebbe  anche molto difficile colmare certe lacune in cognizioni di vario genere, per esempio quelle di natura geografica, rispondere a domande come –Venite dalla Sicilia o dall’Italia?-  (Sic!). Non ho avuto l’impressione che i maltesi siano un popolo di chiacchieroni, anche se invece di parlare gridano, ma sono rimasto solo una settimana e potrei anche sbagliarmi.  Invece sparano. Non che vadano in giro con le pistole alla cintola,  sparano i botti. Magari cominciano la mattina alle sei e ti svegliano e tu non sai il perché e smoccoli e loro continuano. Magari vanno avanti l’intera mattinata. Non ho saputo di nessun ustionato o ferito in qualche modo dalle esplosioni, nessuno che si sia fatto male. Girando per le strade, per qualsiasi strada, si vedono grovigli di fili pendere dai muri, collegati alla linea elettrica alla meno peggio, di cui nessuno si preoccupa. Viene da pensare che la messa a terra e altri dispositivi di sicurezza rientrino nell’area del futuribile, ma la gente vive lo stesso tranquilla. Non ho ben capito dove tengano i pony (aree semiselvagge per lunghe cavalcate non mancano), ma la sera spesso li lavano e li custodiscono in strada, davanti alla porta di casa. Che cosa ho provato davanti a tutto questo? Commozione. Ho rivissuto momenti della fanciullezza, quando a pochi metri da casa mia c’erano due stalle. Ci passavo davanti più volte al giorno e a quei tempi la trovavo una cosa del tutto normale. Forse puzzavano, ma non me ne ricordo. Grovigli di fili ai muri, botti senza senso, a quell’epoca c’erano anche loro. Che dire del porto senza banchine, con le barche ormeggiate semplicemente alle boe, come succedeva nel mio porto di tanti anni fa? A provarci adesso si rischierebbe l’arresto. Credo che commozione sia la parola giusta. Ho respirato l’aria del passato, della fanciullezza, e per quanto ho potuto mi sono riempito i polmoni di quella sana barbarie da paradiso perduto.

venerdì 6 luglio 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Giovedì, 5 luglio 2012. Sono le sette di sera e ho appena fumato la seconda sigaretta della giornata. Me ne sono imposte tre al giorno e di solito ci riesco, ma non quando ho i nervi a fior di pelle. Proprio come oggi e credo non sia sfuggito a chi ha letto il post precedente, sempre in data di oggi. Infatti, ripensandoci, ne ho fumate tre, perché me ne sono fatte due di seguito dopo mangiato, discutendo con mia moglie di una faccenda che ci riguarda e che ti fa capire in che tempi viviamo e anche perché qualcuno reagisce a certe situazioni con ordinarie carneficine. Vediamo se riesco a pensare a qualcosa di più confortevole. Potrei considerare i favolosi spaghetti allo scoglio che mia moglie prepara per il pranzo della domenica, la macchinetta del caffè che si è rimessa a funzionare dopo un lungo sciopero, forse convinta dalle mie esplicite minacce di rottamazione, il notevole recupero del tedesco, cui ho dedicato almeno un’ora al giorno per un paio di mesi, e il fatto che  riesco di nuovo a leggere libri in questa lingua con estrema facilità, il fuoribordo che si comporta bene, specie nei momenti critici (e questo è davvero un merito eccelso), ma soprattutto l’aver scovato i dadi con il passo speciale di cui avevo bisogno per fissare le sartie. Li ho scovati in una ferramenta che ne aveva una rimanenza da tempi remoti. Hanno pure un nome inglese, che non ho ben capito. In ogni caso, non sono più in commercio e sono stato baciato dalla fortuna. Sono corso subito a sistemare gli attacchi e adesso è tutto pronto. Domani porto la barca sulla spiaggia, sistemo l’albero e ne approfitto per togliere dalla carena una mezza foresta di alghe che stanno lì da un mese. Gli antivegetativi costano cari e durano poco. Una combinazione molto conveniente per chi li vende e molto meno per chi li usa. Nient’altro di confortevole? Ma sì, ho visto che il fico era bello carico e mi sono dato da fare. I fichi sono buoni.    

diario di un qualsiasi nessuno


Giovedì, 5 luglio 2012 Davvero mi viene da piangere pensando a come vada sprecato il tempo della vita, dico della vita, che ha durata limitata e finisce con un funerale, dico con un funerale, e mettiamoci pure con una sepoltura, come venga sprecato, dicevo, passando da un avvocato a un commercialista per sistemare questioni di tasse, di contratti e di denaro, specie se c’è chi intende metterci indebitamente le mani e ci fa stare con il fiato sospeso. Purtroppo siamo in trincea, costretti a difenderci dai delinquenti e dalle Istituzioni, che negli ultimi decenni si sono date molto da fare per introdurre misure a protezione di parassiti e assassini. Basti pensare alla gente che si trova ancora in galera per aver ardito difendersi da un aggressore di certo non invitato in casa propria o da un rapinatore malintenzionato. Il giardino dell’Eden è appassito per sempre e adesso è una discarica a cielo aperto. La vita che crediamo di vivere è un pessimo surrogato. Tutto questo, un concentrato di pessimismo esistenziale che viene da una serie di giornate storte, ma spiega esaurientemente l’essenzialità di una barca a vela e il flusso dell’eternità che ritorna nel momento in cui supero i limiti dell’area portuale e mi dirigo verso il pontile. Anche a dispetto di possibili inconvenienti. Da tre giorni non posso andare in mare giusto per uno di tali possibili inconvenienti. Facciamo un rewind, appunto di tre giorni. Finalmente una mattinata di vento  come piace a me, una ventina di nodi da nord est, pura goduria. Nel mezzo della goduria, si spezza una sartia e l’albero finisce in mare con tutta la randa, fiocco compreso. Non posso neanche dire di averlo visto finire in acqua, tanto la cosa si è svolta rapidamente. Un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era più. Nella retina, la scia di qualcosa che mi è sfrecciata davanti agli occhi come il fulmine. Fortunatamente sono al largo, lontano dagli scogli, ma il moto dell’onda, piuttosto consistente, mi porta in quella direzione. Però ancora lontani. Lascio che la barca si porti sottovento, rispetto a tutto il carico che la sartia rimasta e lo strallo si trascinano dietro, e comincio a recuperare. Passa una grossa barca e lo skipper mi urla che vuole telefonare alla Capitaneria. Gli grido di non farlo. Non è da escludere che potrebbe anche scapparci una multa. Continuo a recuperare, e poco a poco ogni cosa torna a bordo. Fortunatamente tutto fila liscio e in una ventina di minuti riesco a completare il carico. Lego l’albero a poppa e a prua e spero che il motore non faccia capricci, anche perché gli scogli sono vicini e cominciano a preoccuparmi. Parte al primo colpo. Rientro senza difficoltà e metto ordine a bordo. Piego la randa e il fiocco e verifico i danni. Si è spezzata la sartia sinistra in alto, dove è assicurata (si fa per dire) all’albero. Ho sostituito le sartie d’acciaio con delle cime robuste, ma sono fermo da tre giorni perché non riesco a trovare due dadi con un passo speciale. Continuo le ricerche. Se non li trovo, dovrò arrangiarmi in qualche modo. Tuttavia questo tipo di preoccupazioni non mi preoccupa, se mi si consente la cacofonia. A preoccuparmi sono quelle di cui ho parlato sopra, perché sono la non vita, lo spreco, anticipi di morte.   

sabato 9 giugno 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Sabato 9 giugno 2012
In questo ultimo periodo la terra ha tremato e ha continuato a tremare e con tutta l’indifferenza di cui è capace ha distrutto case, chiese, opifici di ogni genere, privando della vita 27 persone, senza distinzione fra giovani e vecchi, uomini e donne, preti e laici, ricchi e poveri. Vedere tante costruzioni distrutte o irrimediabilmente lesionate non è stato un bello spettacolo, né lo sono stati gli sciacalli che hanno dovuto essere tenuti a bada dalle forze dell’ordine, né chi ha cavalcato la morte di tanti poveri disgraziati per rivendicare diritti, né il teatrino non-stop messo su dalle TV, in concorrenza fra di loro nel mostrare immagini intersperse di Le scosse sono state avvertite dai nostri inviati, Abbiamo ripreso il momento della scossa, Siamo in grado di mostrarvi il crollo in diretta ecc. ecc.  Il solo lato positivo è stato quello di averci mostrato di che tempra sono gli emiliani. Nessuno a piangersi addosso, tutti impazienti di poter ricominciare a lavorare. Per rispetto di questi italiani, non credo che farò altri riferimenti a questa tragedia.  

giovedì 7 giugno 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Giovedì, 7 giugno 2012
Il 3 di febbraio del 2010 ho cominciato a scrivere questo diario di un qualsiasi nessuno con queste precise parole: Siamo alle solite. Entri in una struttura sanitaria felice come una pasqua e quando esci hai la bava e le corna, e anche se non hai incornato nessuno, hai tanta voglia di farlo. A oltre due anni di distanza, con i casini combinati dal governo Monti che potrebbero, come ormai in molti affermano, togliere all’Italia ogni speranza di ripresa, con quelli della Fornero, cui deve esser parso l’uovo di Colombo del risparmio mandare la gente in pensione evitando poi di pagargliela, con il terrorismo mediatico e il teatrino organizzato ogni giorno dai politici che aspettano solo che Monti gli rimpingui le casse per poter disporre dei soldi dei contribuenti,  a oltre due anni di distanza, dicevo, le cose non sono cambiate.  Ieri ho accompagnato mia moglie alla ASL per una radiografia all’omero, tanto per accertare che dopo una brutta caduta di diversi mesi fa le cose fossero tornate a posto. La lascio all’ingresso e vado a parcheggiare. Quando la raggiungo, è allo sportello dell’accettazione. Un tizio alto, con un cranio perfettamente rasato e luminoso, è impegnato in una sorta di conferenza, ma in realtà si sta rivolgendo a mia moglie. Dal modo in cui parla, si capisce però che ha bisogno di un pubblico e poiché ha davanti a sé un sacco di gente che aspetta  il proprio turno, ne approfitta spudoratamente. Assume toni didattici, compiacenti, pazienti e perfino tolleranti nell’apparente sforzo di spiegare a mia moglie i termini del problema. Gravissimo, senza soluzione. Il che comporta il pagamento di un ticket maggiorato di venti euro. Decidiamo di entrare nel reparto e chiedere se davvero dobbiamo sottometterci all’estorsione. La prima infermiera che incontriamo si mette a ridere e dice che secondo lei nessuno si rifiuterà di eseguire la radiografia. Per maggior sicurezza ne chiama un’altra che si incazza perfino per via di chi crea difficoltà invece di agevolare il lavoro. Prende in mano l’impegnativa e va a parlare con l’oratore. Problema risolto in meno di un minuto. Nel giro di un quarto d’ora abbiamo finito e siamo già in possesso del foglio per il ritiro del referto, fra una settimana. Pagheremo allora, con una nuova impegnativa. Tutto qui. Innocente escamotage, non fa male a nessuno. Malgrado l’incazzatura, esperienza edificante. Su cinque operatori contattati (includo il radiologo, ovviamente, e anche una signorina allo sportello che, si capiva dell’espressione, non approvava la concione di cranio luminoso, molto verosimilmente il suo capoccia), un solo rompi.  Percentuale del venti percento, avrebbe rilevato un sondaggio DOXA, con buone possibilità, dovendo proprio entrare in una ASL, di imbattersi in gente illuminata all’interno del cranio. Come si spiega, allora, che parlare male delle ASL è come sparare sulla Croce Rossa? E’ mai possibile che si debba sempre incocciare quel dannatissimo venti per cento di oratori, mancati poeti e gran rompicoglioni?    

mercoledì 6 giugno 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Martedì, 5 giugno 2012
Quanto a scorrevolezza del verbo, mi sento arrugginito come una vecchia ancora abbandonata da qualche parte in un capannone. Nell’ultimo periodo mi sono dedicato, più che altro, a una attività di manutenzione del mio personale patrimonio linguistico. Non so se ne ho già parlato, ma mi sto rileggendo, devo dire con gusto, un romanzo di guerra scritto da un aviatore tedesco. E’ intitolato Goetterdaemmerung ueber der Normandie, Il Crepuscolo degli dei sulla Normandia.  Dal titolo si capisce già che aria tira per i tedeschi. Oltre che rileggermelo, mi soffermo spesso a verificare e precisare il significato di alcuni vocaboli, a godere di qualche particolarità sintattica, a cercare di comprendere il vero stato d’animo dei soldati tedeschi, più che certi, in quei momenti, che Sigfrido stava passando la mano. Diciamo che si tratta di una rilettura centellinata, privilegiata, da cui sgorgano piacere e conoscenza. Al tempo stesso mi sono impegnato nella lettura spicciola di un thriller di John Grisham, tradotto in tedesco con il titolo Der Anwalt, cioè L’avvocato. In proposito, due osservazioni. E’ preferibile tenersi alla larga dalle opere più recenti di romanzieri che da decenni sguazzano senza ritegno in una fama più che meritata, ma che a fine carriera possono permettersi di pubblicare, sempre senza ritegno, opere che non avrebbero loro consentito neppure di averla, una carriera. Con L’avvocato sono a pagina centottanta e spero ancora in qualche luce improvvisa che mi folgori sulla via di Damasco. Temo tuttavia che sia la stessa speranza che mi aveva sostenuto fino all’ultima pagina di The Broker, pure di Grisham, cioè fino al momento in cui mi sono inequivocabilmente convinto di essere stato preso per il..per i fondelli per centinaia di pagine. Non è il solo, Grisham, a divertirsi così. Tre o quattro anni orsono ho ricevuto come regalo di compleanno un thriller di John Le Carré. Dico, John Le Carré. Confesso che il titolo non mi aveva per niente entusiasmato, Amici assoluti mi pareva più il titolo di un saggio di sociologia a buon mercato. Però mi sono detto che Le Carré ha scritto La talpa e non è il tipo da scrivere cazzate. Invece le scrive, e come. Sono arrivato alla fine solo come segno di rispetto del nome che porta. I nomi vanno rispettati, almeno quelli. I nomi sono grossi chiodi piantati a mo’ di appigli in una parete alta quanto la fine del tempo, grazie ai quali abbiamo potuto arrampicarci fino a dove siamo ora. In Russia, molto prima della rivoluzione di ottobre, il nipote di un famoso scienziato si presentò a un esame gravemente impreparato e non fu in grado di rispondere neppure ad una delle tre domande che gli vennero sottoposte. L’esaminatore non ebbe scelta, l’esame era chiaramente fallito, ma non si sentì di scrivere un’insufficienza sotto un nome per cui aveva tanta venerazione. In segno di rispetto, passò lo statino allo studente e lo pregò di annotarvi l’insufficienza di propria mano. Dieci minuti fa, quando mi sono seduto al computer, avevo voglia di scrivere qualcosa sulla piega che aveva preso il pomeriggio, invece sono finito in Russia, ancora peggio in una scuola. Sono tornato da poco dal pontile, dove ho potuto de visu ispezionare il meteo. Vento forte, sopra i venticinque nodi, mare mosso, perfettamente adeguato al vento, condizioni ideali per un vero sballo. Come al solito, però, è la consapevolezza a rendere l’uomo codardo, e la mia personale consapevolezza riguarda le condizioni dello scafo ultraquarantenne. Con la vetroresina  ridotta allo spessore di un foglio di carta velina e la conseguente ridottissima resistenza alla trazione delle sartie e ad ogni forma di pressione esterna e anche interna, meglio soprassedere. Basta un dannatissimo secondo perché il divertimento e lo sballo si trasformino in una estenuante operazione di recupero di fiocco e randa, trascinati in mare dall’albero, per il cedimento di una sartia, anch’esso da recuperare senza dimenticare il boma. Tante amenità se  sei fortunato e l’incidente non ti fa scuffiare. In caso contrario, ti ritrovi in acqua, con un mare del cazzo e sono cazzi tuoi. Rinunciando mi sono fottuto il pomeriggio, e devo accontentarmi della compagnia di questa pagina di diario, ma  la prudenza ha preteso voce in capitolo e ho dovuto accordargliela, per non rischiare di fottermi del tutto. Sono molto più arrugginito di quanto mi sentivo all’inizio di questa pagina. Infatti mi sono dimenticato per strada la seconda osservazione a proposito di Der Anwalt, L’avvocato di John Grisham, scritto originariamente in inglese, con azione che si dipana in ambiente americano, tradotto in tedesco. Ecco l’ostacolo. Quando leggo Goetterdaemmerung ueber der Normandie tutto fila liscio, non provo alcun senso di dissociazione  fra i fatti che vi vengono narrati e la lingua che viene usata per farlo, né fra la lingua e i sentimenti che vi vengono espressi. Perché il libro è stato scritto da un tedesco, nella propria lingua, in ambiente tedesco (la Normandia era occupata dai tedeschi) e tutto fila liscio e in armonia. Quando leggo Der Anwalt, è una fatica conciliare una lingua rigorosa come il tedesco con il modo in cui si esprimono i personaggi americani, in ambiente americano, nello stile americano. Insomma, si avverte una discrepanza impossibile da ignorare. Sarebbe facile obiettare che la stessa cosa dovrebbe accadere con l’italiano, forse anche a ragione, ma certamente in misura meno rilevante. In primo luogo per via di decenni di doppiaggi cinematografici interspersi di scritte, musiche e canzoni in lingua originale che lentamente ci hanno portato ad avvicinare le due culture, forse anche troppo, visto che tutta la merda di natura socio-televisiva ci piove addosso dall’America, ma anche per l’innegabile fatto che la sintassi italiana meglio si adatta a quella inglese. La cosa appare poco credibile, trattandosi di una lingua anglosassone e una neolatina, ma di fatto non lo è. Eviterò di spiegarne il perché, per non minare l’integrità degli zebedei di qualcuno. Forse lo sto già facendo, perché ancora non la smetto. Concludo perciò d’urgenza, con il proposito, d’ora in avanti, di evitare le traduzioni e leggermi le opere originali in ciascuna lingua. Ci voleva tanto?

venerdì 27 aprile 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Mercoledì, 25 aprile 2012
Ieri mi sono gustato una sciroccata sopra i venti nodi. Gli inglesi dicono bliss, il massimo della goduria. Oggi è giornata festiva, consacrata totalmente a mia moglie, credo che andremo in trattoria.  A mia moglie piace cucinare e devo dire che ci sa fare, perciò le trattorie ci vedono raramente, ma una volta ogni tanto, diciamo quattro o cinque volte all’anno, forse anche qualcuna in più, scegliamo di mangiare fuori.  Ha un effetto terapeutico. Ritrovarsi soli, anche se per un’ora o poco più, serve egregiamente a rimuovere le incazzature che la gente ti porta dentro casa.  Per questo allontanarsi ogni tanto dalle mura domestiche fa bene. Ci lasci dentro le incazzature. Se poi, dopo mangiato, ti fai anche due passi sul lungomare, riesci a lasciarcele alche per due o tre ore. Sono ben consapevole che il senso di benessere potrebbe anche venire attribuito a un effetto placebo, ma finché funziona e in mancanza di cure più specifiche e di malefici effetti collaterali è del tutto inutile andare a cercare il pelo nell’uovo. Naturalmente quando rientri le ritrovi tutte al loro posto, se sei fortunato ben classificate in ordine di importanza e di precedenza, se invece sei sfigato le ritrovi in una confusione inestricabile, in un accavallarsi disordinato cui non soccombi solo per esserti appena concesso qualche ora di respiro. Non c’è cura contro le incazzature. Non ci sono parole contro le incazzature. Che cosa possono dirti quando sei incazzato? Vediamo: Non ne vale la pena?, Pensa alla salute?, Non è grave come sembra?, A tutto c’è rimedio?, Vedrai che tutto si sistema? Solo stronzate, che rischiano di farti incazzare ancora di più. La vita è un fiera di parole inutili, per lo più. Tralasciamo, almeno per ora, perché sento che tornerò sull’argomento, quelle che ci propina la televisione, come la ministra, per esempio, di cui non c’è traccia  nei dizionari non ancora inquinati, diciamo degli anni Sessanta. Qualcuno mi dirà che le lingue cambiano, e io non lo nego, se lo fanno però non è sempre in meglio. Esiste un femminile la ministressa, ma il dizionario ne chiarisce il tono scherzoso. Continuando di questo passo, verrà rispolverato il femminile la dottora, anch’esso possibile, ma solo in tono scherzoso. Tutto ciò a tutela, mi pare di capire, di un’ipocrita equiparazione di diritti fra i due poli del genere umano. Ma è possibile che una donna si senta più rispettata, considerata, soddisfatta nel sentir parlare della ministra Fornero? La smetto qui, per il momento, perché l’idiozia in una tale ipocrisia è tanto evidente che rischio di prendermi un’altra incazzatura. La fiera delle parole inutili è comunque quella della TV e della carta stampata,  specie in certi articoli dove qualcuno ti sbatte in faccia una statistica per farti sapere come stanno le cose e poi monta in cattedra per spiegarti come si fa. Come si fa che cosa? Qualsiasi cosa, perfino come si fa il genitore. Avevo sempre creduto che fosse roba da autodidatti, roba che si apprende inevitabilmente sulla propria pelle, su quella dei figli. Invece no, c’è chi sa come si fa e si presenta statistiche alla mano.  Conoscevo un tizio, anni fa, di una brillante intelligenza e anche un po’ matto, che aveva trascorso un sacco di tempo a Londra per lavorare su una tesi di laurea in cui dimostrava che tutte le statistiche erano tarocchi. So che si è laureato, quindi deve averla portata a termine, ma non ne ho mai sentito parlare. Tornando a certi articoli di giornale, in uno di essi ci  si preoccupa di salvare i bambini dai ceffoni (e anche dagli sculaccioni) e fornisce numeri, percentuali in cui vengono inquadrati i genitori a seconda della quantità di sberle che rilasciano mensilmente. Mi sembra molto riduttivo. Si potrebbe ipotizzare, per esempio, che i genitori tornino a casa stanchi, spesso con grosse preoccupazioni, anche di carattere finanziario, e che sia la stanchezza o la cattiva disposizione d’animo ad indurli a sbagliare bersaglio. Quei ceffoni potrebbero essere diretti, per esempio, a certi spot televisivi che identificano il buon genitore, quello da amare, mostrando un padre che regala l’auto al figlio perché ha superato un esame, creando nei figli aspettative, già a distanza di anni, che egli non potrà mai soddisfare, oppure a delle troiette tredicenni che si burlano della figlia perché è ancora vergine, oppure a quei genitori che mandano in giro la prole firmata da capo a piedi, cedendo senza ribellarsi al consumismo che li aggredisce da ogni lato. Poveri disgraziati anche loro, padri e figli. Che dire di spot che cominciano con “Convincete i vostri genitori di aver finito i compiti, poi…”, chi li ha firmati non meriterebbe tanti calci in culo? E’ facile sbagliare bersaglio, quando si è stanchi e sfiduciati.

lunedì 23 aprile 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Lunedì 23 aprile 2012
Stamattina ho preso la barca e per la prima volta da quando l’ho aggiustato ho usato il motore. Funziona. Poco vento, sufficiente per godersi la passeggiata sulle onde. E’ calato giusto al rientro, ma ormai ero quasi arrivato. E’ rinforzato subito dopo l’attracco, solo per dirmi che se fossi rimasto mi sarei divertito di più. Un gran figlio di puttana, a volte cede alla vena sadica, ma in fondo vuole solo scherzare con me. Può permetterselo, siamo amici da tempo. Da ragazzo scrivevo tante poesie, da adulto ne ho scritte ancora, ma poche, anche in dialetto, insomma ho una specie di gusto perverso a cercare rime per ogni parola, è una specie di automatismo. Chissà perché, stasera mi sono sorpreso a cercare una rima per monti. Subito mi è venuta in mente la rima con conti, arconti, acconti, rodomonti, tonti, bisonti, Corte dei Conti e qui mi sono fermato a pensare, perché pare che proprio la Corte dei conti abbia fatto due conti suggerendo poi a Monti di rivedere i conti, perché se gli italiani non avranno più soldi da spendere nessuno avrà più niente da produrre e potremo anche fregarcene dell’articolo diciotto perché l’Italia andrà a picco come il Titanic portandosi dietro tutti gli italiani, contribuenti ed evasori. Il grosso rischio, di questi tempi, è di somatizzare le incazzature e per fortuna le mie si dissolvono come nebbia al sole appena entro nell’area portuale e mi dirigo al pontile. Speriamo che domani mattina ci sia buon vento e soprattutto che non mi metta di nuovo a cercare rime.  

domenica 22 aprile 2012

diario di un qualsiasi nessuno


Domenica, 22 aprile 2012
Oggi è il giorno di riposo comandato, o dovrebbe esserlo. Comandamenti a parte, chi lo rifiuta un giorno di riposo alla settimana? Verrebbe da rispondere che non lo farebbe nessuno, ma se poi pensiamo ai gestori di bar, ristoranti, alberghi, stabilimenti balneari, trasporti, gente di spettacolo  e via di seguito, cominciamo a sospettare che il giorno di riposo settimanale, incluso quello alternativo alla domenica, non sia un patrimonio della generalità. Di certo tutti ne avranno sentito parlare, ma per alcuni potrebbe essere solo legato a eventi di una mitologia lontana. Eppure, secondo la Bibbia, il mancato rispetto del giorno di riposo non è una bazzecola, è anzi peccato gravissimo, meritevole della lapidazione. E’ facile concludere che da tempi tanto lontani la società è cambiata, le incombenze per la sopravvivenza sono diverse e alcune scelte necessarie possono essere in contrasto con quelle imposte dalle Scritture. In tale mancanza di sintonia tra sacro e profano è naturalmente il sacro ad avere la peggio. Lo sfaldamento del sacro è stato un processo lento, durato secoli, che tuttavia ha assunto un ritmo impensabile e incontenibile negli ultimi cinquanta o sessanta anni e spero tanto, ma tanto davvero, che a ciò non vada attribuito il criminale individualismo in cui è sprofondata la nostra società, perché non vorrei, proprio non  lo vorrei, vedermi costretto a sospettare che nei rapporti fra religione e società possano anche aver ragione gli islamici.

sabato 21 aprile 2012


Sabato 21 aprile2012
Stamattina ho fatto un salto al molo, ma avevo poca voglia di uscire in mare. Per di più soffiava quello che gli antichi romani chiamavano Garbinus, che in italiano è diventato Garbino e che è sinonimo di Libeccio. Molti non conosceranno il Garbinus e neanche il Garbino ma credo che tutti conoscano il Libeccio e sappiano cosa significa una libecciata. Per chi non ne fosse al corrente, chi si prende una libecciata si trova esposto a un vento di sud ovest che può cambiare direzione ogni momento e  ti aggredisce con raffiche violentissime e micidiali. Con un quattro metri in vetroresina scuffiare è facile, come pure ritrovarsi con l’albero spezzato o le vele a brandelli. Non è detto, comunque, che non ci sia modo di affrontarlo. Con una lunga esperienza alle spalle, si può. E’ una gran faticata, ma ne vale la pena e si torna a terra con un pieno di adrenalina. Più o meno come fare bungie jumping o volare sopra le cime con un deltaplano. Stamattina non sentivo una spinta sufficiente e non mi sono sentito all’altezza. Scelta sbagliata, perché me ne sono pentito ancor prima di arrivare a casa. Anche perché oggi è sabato e non avrò una nuova occasione. Il pomeriggio è consacrato alla famiglia. Se ne riparla domani.  Ho passato il pomeriggio davanti alla televisione insieme a mia moglie. Ci siamo visti un bel film indiano Mi piacciono i film indiani, anche se mi insospettiscono. Pensare che i figli possano amare i padri e le madri, e viceversa, che le mogli amino teneramente i mariti e viceversa, che pazienza, accettazione e tolleranza possano rimpiazzare violenza, insofferenza e fanatismo e che tutto ciò venga rappresentato in un film come per descrivere una realtà mi insospettisce. Sarà per via di questa società dionisiaca che mi è piombata addosso come un elefante ubriaco.

venerdì 20 aprile 2012

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Venerdì, 20 aprile 2012

Quando stavo ancora scrivendo le ultime righe di “L’ultimo plenilunio” (ammesso che si chiamerà in questo modo), mi sembrava che almeno una diecina di nuove trame mi si stessero accalcando nel cervello chiedendo ciascuna la precedenza per il prossimo thriller. L’impressione era che fossero lì, pronte per la prima stesura, dall’inizio alla fine. Niente di più illusorio. Premendo l’ultimo tasto e sganciandomi dall’immagine dei lupi che ululano alla luna, ho scatenato una sorta di ciclone che ha reso del tutto improbabili le mie nuove trame e sconvolto le mie certezze. Ho fatto del tutto per ampliare i miei orizzonti e mi sono impegnato in ricerche interminabili. Ho ripreso a studiare vangeli di ogni genere, poi ho pensato che era ora di smetterla di approfittare del sacro per incrementare il profano e mi sono dedicato, spostando di poco il baricentro, alle nuove sette religiose, in particolare quelle americane, quelle che dispongono di mezzi più che cospicui, con i quali sono in grado di operare sulle reti informatiche di tutto il mondo, attraverso cui riescono a fare nuovi adepti e altro denaro. Pare che la strada per farsi nuovi adepti passi attraverso un questionario iniziale facilmente rintracciabile sul loro sito. L’ho trovato, ma ho resistito alla tentazione di compilarlo. Non vorrei ricoprire il ruolo di vittima in una trama esoterica che nessuno scriverà mai. Ho saltato dunque a piedi pari Scientology, New Age e simili per andare a leggermi la Bibbia. Un vero shock, tuttavia lettura illuminante. Epopea di un popolo prediletto da un dio dell’amore ma anche più spesso della vendetta, del castigo e della morte, poesie dell’amore carnale che occupano tutto un capitolo, una diversa idea del premio o del castigo finale da quella trasmessa dai vangeli canonici. Per finire, l’idea che l’espiazione del peccato possa realizzarsi con la pena di morte, poco differisce da quella del Corano. Lapidare un’adultera è senz’altro eccessivo, per i costumi della nostra epoca, come lo è lapidare un figlio che insulta un padre, anche se gli veniva concesso di essere ascoltato per due o tre volte da un consiglio di anziani prima di scontare la pena. E’ anche difficile capire un dio della vendetta, degli eserciti, che partecipava alle battaglie in prima persona, sbaragliando i propri nemici e quelli del popolo eletto. Non nego certo forti perplessità, ma ne ho tratto la convinzione che il peccato è qualcosa di molto più grave di quanto in genere lo consideriamo. Spingendo un poco oltre le mie considerazioni di cattolico poco osservante, non posso non rendermi conto, fra l’altro, che, a parte un paio di comandamenti che riguardano il rapporto personale con la divinità, chiunque si astenga dal disprezzare i genitori, eviti la bestemmia e il turpiloquio, non rubi e non uccida, non pianifichi di farsi le mogli degli altri e non sbavi di invidia per la roba altrui, ripeto, chiunque si comporti in tal modo non sarebbe un cittadino ideale in quello che dovrebbe essere un consesso civile? Non è una domanda da un milione di dollari, sembrerebbe piuttosto una domanda retorica, perfino idiota. Ma chi ce l’ha il coraggio di rispondere? Oggi soffiava bon vent, come dicono i francesi, nel caso specifico uno scirocco misurato. A rompere le scatole c’era un accavallamento di cumuli neri che minacciavano da ovest, ma me ne sono fregato e sono uscito e ho fatto bene. Me la sono goduta per un paio d’ore, tanto ci è voluto prima che la minaccia si cambiasse in acqua, ma neppure tanta quanta me ne aspettavo. Per il rientro non ho neppure usato il motore (non ricordo se l’ho già scritto, ma visto che dopo quasi un mese non ne avevo notizie, sono andato a riprendermelo e ho provato a ripararlo da solo e ci sono pure riuscito. Quasi non ci credevo. Ora è di nuovo al suo posto) e sono rientrato a vela, come faccio sempre. Oggi però qualcosa doveva andare storto. Proprio mentre rientravo di fretta, facendo la barba agli scogli -a volte si è costretti a farlo per evitare una ulteriore virata e risparmiare tempo-, lo scirocco si è fatto una pausa di un mezzo minuto ed è arrivata una folata da terra. Risultato, un paio di minuti di smoccolamenti puntando il mezzo marinaio contro gli scogli nel tentativo di evitare l’urto fatidico, girare la barca e riprendere il vento. Nel frattempo si è rifatto vivo lo scirocco, anche più arzillo di prima, consentendomi, bontà sua, di rientrare e tornare all’attracco. Un piccolo inconveniente, dopo tutto, che non mi ha guastato per niente la festa.

giovedì 19 aprile 2012

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì 19 aprile 2012

Ho appena finito di tracciare le linee guida per una “Dolorosa epopea dei tartassati” e ho ancora voglia di scrivere. Da un bel po’ di tempo mi chiedevo dove fosse andata a finire, la voglia, ed eccola che ritorna. Bene, purché non sia il solito fuoco di paglia. Brucia in un attimo e non lascia brace di sorta. Solo un po’ di cenere che si spazza via con un soffio. Dopo la pubblicazione di “La dodicesima grotta”, ho finito da poco, forse l’ho già detto in uno dei post precedenti, un nuovo romanzo. Penso di intitolarlo “L’ultimo plenilunio” , ma non ne sono sicuro. A premere per la copertina ci sono altri titoli, “Un teschio per una messa”, “L’ultima messa per l’assassino”, “Omicidio di plenilunio” e anche altri che ho annotato da qualche parte ma ora mi sfuggono. Dovrò rivederlo un’ultima volta. Il fatto è che sono uno scrittore distratto, mentre scrivo non bado ai dettagli, tipo rispetto degli orari, delle stagioni, della presenza del sole o della pioggia, idoneità dell’abbigliamento dei personaggi, insomma, piccolezze, ma solo in apparenza, perché a lavoro compiuto crescono a dismisura, ti coprono di insulti per non averle ritenute degne di considerazione. Allora ti tocca rileggere, rileggere, rileggere fino alla nausea, perché loro ti fanno il dispetto di farsi di nuovo piccole, invisibili, e cercano di sfuggirti come scarafaggi sorpresi alla luce. Dovrò rivederlo un’ultima volta, in particolare per un piccolo dettaglio, anzi, non tanto piccolo, perché una ragazza di Kiev non è una russa e due ragazze di Kiev non sono due russe. Tre sono le possibilità. La prima è sostituire la parola ucraina a russa e ucraine a russe ogni volta che appaiono nel romanzo, singolarmente o in coppia. La seconda, pure piuttosto semplice, è cambiare il luogo di origine e farle venire da Mosca, oppure da San Pietroburgo. La terza, un po’ più complicata, è indurre uno o anche un paio dei personaggi a spiegare che, in genere, da noi, quelli che parlano russo sono tutti russi, come lo erano, un paio di decenni addietro, tutti i tovarisci di tutti i paesi dell’immensa Unione Sovietica. Tornando al mio ultimo thriller, dal titolo che avrei scelto a costo di tante laboriose elucubrazioni è scaturito un inconveniente e non è inconveniente da poco. Mia figlia, che per quanto ne so scrive poco ma ha già vinto un concorso letterario e si è ben piazzata in un altro, ha commentato che “L’ultimo plenilunio” le fa venire in mente un branco di lupi mannari che ululano al cielo notturno e all’inconsapevole satellite. Non molto incoraggiante. I figli . Dunque, la ricerca non è ancora finita. Elucubrare necesse.

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì 19 aprile 2012-04-19

Me ne stavo tranquillo in poltrona senza neppure prestare troppa attenzione al sonoro quando sullo schermo è apparso d’un tratto un essere bieco e mal rasato, volutamente presentato come essere repellente. Il mio interesse nello spot si è destato appena in tempo perché potessi afferrarne il significato. Dunque, si trattava di un evasore fiscale. Un bruto, forse anche cannibale e assassino. Almeno a giudicare dalle apparenze. Cazzo, mi è balenato in mente il modo in cui venivano rappresentati gli ebrei nei manifesti nazisti o nei cortometraggi della propaganda antisemita. Naso adunco, mani rapaci, sguardo beluino. Si poteva pensare di rischiare la vita soltanto ad avvicinarli. Sono rimasto, devo dire, perplesso, poi mi sono convinto che ogni accostamento sarebbe stato arbitrario. Torniamo all’evasore fiscale. Tanto per cominciare, un evasore fiscale me lo immagino molto diverso. Mi figuro un tipo elegante, con una bella macchina, magari una Mercedes se non qualcosa di meglio, uno yacht a vela di almeno dodici metri attraccato a un qualche pontile di lusso, o anche uno a motore, di quindici o venti metri, con cabine, cucina e salotto e anche un paio di bagni molto più accoglienti di quelli frequentati dai comuni mortali che non si sottraggono ai sacrifici imposti da Equitalia, quelli nel mirino di Monti, per intenderci. A proposito, pare che in Islanda i ministri responsabili di disastri economici vengano sottoposti a processo, perché in Italia invece a Monti è stato concesso il tiro a bersaglio sui contribuenti onesti? Misteri della politica. Un evasore fiscale deve anche avere una villa, magari del settecento, con parco e un viale alberato, restaurata a suon di milioni dal tetto alle fondamenta, magari con l’aggiunta di qualche marmo, che non guasta mai. Insomma, un evasore fiscale che si rispetti non deve temere il confronto con chi si appropria del denaro dei contribuenti per concedersi una botta di vita. Una botta dopo l’altra. In Italia non c’è un ministero della propaganda, ma se ci fosse e intendesse davvero sollevare l’indignazione popolare per il mancato pagamento delle imposte e per l’uso che si fa di quelle che vengono pagate, purtroppo dai soliti coglioni, dovrebbe decisamente usare una immagine del tutto diversa per sbatterti in faccia l’evasore, e forse aggiungerne un’altra da riferire ai vari Napoleon che ci propinano il bello e il cattivo tempo.

giovedì 5 aprile 2012

diario di un qualsiasi nessuno

Mercoledì, 4 aprile 2012

Ogni volta che scrivo l’Anno Domini 2012 mi vengono in mente i Maya. Per il momento pare che la profezia della fine del mondo abbia già avuto un effetto, quello di incrementare gli introiti degli operatori turistici che si sono fatti un dovere di spedire quanti più curiosi possibile in Guatemala. E’ possibile che qualcuno di costoro voglia chiedere ai discendenti diretti dei Maya se la profezia è affidabile, magari se la saranno tramandata di generazione in generazione. Se i Maya si sono aggiornati alla civiltà corrente, è anche possibile che i turisti trovino il paese zeppo di chioschi in concorrenza fra loro dove qualche santone o gran sacerdote o chissà chi altri abbia già stabilito un minimo di offerta per fornire la rivelazione più attendibile. Una volta assicurati che la profezia non è una bufala, il prossimo passo sarà una corsetta fino al Pech de Bugaresh, un monte misterioso nemmeno troppo alto, appena 1250 metri, più o meno, sui Pirenei francesi, a conquistarsi la prenotazione di una camera per la notte del 20 dicembre, ma anche una settimana prima del giorno 21, i meno tirchi. Si tratta di un paesino minuscolo, che la profezia vuole salvo dallo sfacelo, dove i prezzi della terra e degli immobili e degli affitti saranno già arrivati alle stelle. Così stanno le cose. Oltre alle previsioni del tempo, quest’anno abbiamo anche la previsione dell’Apocalisse. Dovrei sforzarmi di trovare qualcosa del genere per promuovere la vendita del mio romanzo, che è piaciuto da matti a me e a e a quei quattro gatti che lo hanno comprato, a cominciare dal titolo che ha un ritmo tutto particolare. La dodicesima grotta (Ta, ta ta ta, ta ta ta, ta). Ci ho riflettuto un po’ su, ma l’Apocalisse non è di aiuto. A meno che non ne faccia distribuire qualche migliaio a Bugaresh verso novembre. Ma se poi c’è davvero l’apocalisse, non mi resta neanche il tempo di incassare i diritti d’autore. Pensiamo a altro . Oggi sono uscito con un forte scirocco che si è indebolito da morire appena ho lasciato il porto, subito ha cominciato a piovere ed è cessato il vento. Ne è rimasto un alito ed è stato un miracolo che sia potuto rientrare. Il fuoribordo è dal meccanico da quindici giorni. Dovrebbe pulire il carburatore, nient’altro, ma nel frattempo devo farne a meno. In questi giorni è scaduta anche la polizza. Meccanico o no, carburatore o no, che usi il motore o meno, va pagata. La polizza è come la vita. Ingiusta. Ci faccio un salto domani mattina.