giovedì 19 aprile 2012

diario di un qualsiasi nessuno

Giovedì 19 aprile 2012

Ho appena finito di tracciare le linee guida per una “Dolorosa epopea dei tartassati” e ho ancora voglia di scrivere. Da un bel po’ di tempo mi chiedevo dove fosse andata a finire, la voglia, ed eccola che ritorna. Bene, purché non sia il solito fuoco di paglia. Brucia in un attimo e non lascia brace di sorta. Solo un po’ di cenere che si spazza via con un soffio. Dopo la pubblicazione di “La dodicesima grotta”, ho finito da poco, forse l’ho già detto in uno dei post precedenti, un nuovo romanzo. Penso di intitolarlo “L’ultimo plenilunio” , ma non ne sono sicuro. A premere per la copertina ci sono altri titoli, “Un teschio per una messa”, “L’ultima messa per l’assassino”, “Omicidio di plenilunio” e anche altri che ho annotato da qualche parte ma ora mi sfuggono. Dovrò rivederlo un’ultima volta. Il fatto è che sono uno scrittore distratto, mentre scrivo non bado ai dettagli, tipo rispetto degli orari, delle stagioni, della presenza del sole o della pioggia, idoneità dell’abbigliamento dei personaggi, insomma, piccolezze, ma solo in apparenza, perché a lavoro compiuto crescono a dismisura, ti coprono di insulti per non averle ritenute degne di considerazione. Allora ti tocca rileggere, rileggere, rileggere fino alla nausea, perché loro ti fanno il dispetto di farsi di nuovo piccole, invisibili, e cercano di sfuggirti come scarafaggi sorpresi alla luce. Dovrò rivederlo un’ultima volta, in particolare per un piccolo dettaglio, anzi, non tanto piccolo, perché una ragazza di Kiev non è una russa e due ragazze di Kiev non sono due russe. Tre sono le possibilità. La prima è sostituire la parola ucraina a russa e ucraine a russe ogni volta che appaiono nel romanzo, singolarmente o in coppia. La seconda, pure piuttosto semplice, è cambiare il luogo di origine e farle venire da Mosca, oppure da San Pietroburgo. La terza, un po’ più complicata, è indurre uno o anche un paio dei personaggi a spiegare che, in genere, da noi, quelli che parlano russo sono tutti russi, come lo erano, un paio di decenni addietro, tutti i tovarisci di tutti i paesi dell’immensa Unione Sovietica. Tornando al mio ultimo thriller, dal titolo che avrei scelto a costo di tante laboriose elucubrazioni è scaturito un inconveniente e non è inconveniente da poco. Mia figlia, che per quanto ne so scrive poco ma ha già vinto un concorso letterario e si è ben piazzata in un altro, ha commentato che “L’ultimo plenilunio” le fa venire in mente un branco di lupi mannari che ululano al cielo notturno e all’inconsapevole satellite. Non molto incoraggiante. I figli . Dunque, la ricerca non è ancora finita. Elucubrare necesse.

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