Mercoledì, 25 aprile 2012
Ieri mi sono gustato una
sciroccata sopra i venti nodi. Gli inglesi dicono bliss, il massimo della goduria. Oggi è giornata festiva,
consacrata totalmente a mia moglie, credo che andremo in trattoria. A mia moglie piace cucinare e devo dire che
ci sa fare, perciò le trattorie ci vedono raramente, ma una volta ogni tanto,
diciamo quattro o cinque volte all’anno, forse anche qualcuna in più, scegliamo
di mangiare fuori. Ha un effetto
terapeutico. Ritrovarsi soli, anche se per un’ora o poco più, serve
egregiamente a rimuovere le incazzature che la gente ti porta dentro casa. Per questo allontanarsi ogni tanto dalle mura
domestiche fa bene. Ci lasci dentro le incazzature. Se poi, dopo mangiato, ti
fai anche due passi sul lungomare, riesci a lasciarcele alche per due o tre
ore. Sono ben consapevole che il senso di benessere potrebbe anche venire
attribuito a un effetto placebo, ma finché funziona e in mancanza di cure più
specifiche e di malefici effetti collaterali è del tutto inutile andare a
cercare il pelo nell’uovo. Naturalmente quando rientri le ritrovi tutte al loro
posto, se sei fortunato ben classificate in ordine di importanza e di
precedenza, se invece sei sfigato le ritrovi in una confusione inestricabile,
in un accavallarsi disordinato cui non soccombi solo per esserti appena
concesso qualche ora di respiro. Non c’è cura contro le incazzature. Non ci
sono parole contro le incazzature. Che cosa possono dirti quando sei incazzato?
Vediamo: Non ne vale la pena?, Pensa alla salute?, Non è grave come sembra?, A
tutto c’è rimedio?, Vedrai che tutto si sistema? Solo stronzate, che rischiano
di farti incazzare ancora di più. La vita è un fiera di parole inutili, per lo
più. Tralasciamo, almeno per ora, perché sento che tornerò sull’argomento,
quelle che ci propina la televisione, come la
ministra, per esempio, di cui non c’è traccia nei dizionari non ancora inquinati, diciamo
degli anni Sessanta. Qualcuno mi dirà che le lingue cambiano, e io non lo nego,
se lo fanno però non è sempre in meglio. Esiste un femminile la ministressa, ma il dizionario ne
chiarisce il tono scherzoso. Continuando di questo passo, verrà rispolverato il
femminile la dottora, anch’esso
possibile, ma solo in tono scherzoso. Tutto ciò a tutela, mi pare di capire, di
un’ipocrita equiparazione di diritti fra i due poli del genere umano. Ma è
possibile che una donna si senta più rispettata, considerata, soddisfatta nel
sentir parlare della ministra
Fornero? La smetto qui, per il momento, perché l’idiozia in una tale ipocrisia
è tanto evidente che rischio di prendermi un’altra incazzatura. La fiera delle
parole inutili è comunque quella della TV e della carta stampata, specie in certi articoli dove qualcuno ti
sbatte in faccia una statistica per farti sapere come stanno le cose e poi
monta in cattedra per spiegarti come si fa. Come si fa che cosa? Qualsiasi cosa,
perfino come si fa il genitore. Avevo sempre creduto che fosse roba da
autodidatti, roba che si apprende inevitabilmente sulla propria pelle, su
quella dei figli. Invece no, c’è chi sa come si fa e si presenta statistiche
alla mano. Conoscevo un tizio, anni fa,
di una brillante intelligenza e anche un po’ matto, che aveva trascorso un
sacco di tempo a Londra per lavorare su una tesi di laurea in cui dimostrava
che tutte le statistiche erano tarocchi. So che si è laureato, quindi deve
averla portata a termine, ma non ne ho mai sentito parlare. Tornando a certi
articoli di giornale, in uno di essi ci si
preoccupa di salvare i bambini dai ceffoni (e anche dagli sculaccioni) e fornisce
numeri, percentuali in cui vengono inquadrati i genitori a seconda della
quantità di sberle che rilasciano mensilmente. Mi sembra molto riduttivo. Si
potrebbe ipotizzare, per esempio, che i genitori tornino a casa stanchi, spesso
con grosse preoccupazioni, anche di carattere finanziario, e che sia la
stanchezza o la cattiva disposizione d’animo ad indurli a sbagliare bersaglio.
Quei ceffoni potrebbero essere diretti, per esempio, a certi spot televisivi
che identificano il buon genitore, quello da amare, mostrando un padre che
regala l’auto al figlio perché ha superato un esame, creando nei figli
aspettative, già a distanza di anni, che egli non potrà mai soddisfare, oppure
a delle troiette tredicenni che si burlano della figlia perché è ancora
vergine, oppure a quei genitori che mandano in giro la prole firmata da capo a
piedi, cedendo senza ribellarsi al consumismo che li aggredisce da ogni lato.
Poveri disgraziati anche loro, padri e figli. Che dire di spot che cominciano
con “Convincete i vostri genitori di aver finito i compiti, poi…”, chi li ha
firmati non meriterebbe tanti calci in culo? E’ facile sbagliare bersaglio,
quando si è stanchi e sfiduciati.
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