Mercoledì, 25 luglio 2012. Nascosto nell’ombra,
nell’anonimato, nel buio dell’ignoto, qualcuno ha realizzato un minuscolo
modellino della mia barca e poi ci ha infilato una quantità di spilli, anche
una scatola intera a giudicare dell’efficacia. Pare che non mi riesca più di
uscire in mare senza rischiare la catastrofe. Altro che Vichingo, fra poco mi
appiopperanno un altro nome, di certo molto meno lusinghiero. Verso le tre del
pomeriggio raggiungo il pontile, in compagnia della solita apatia voglia di far
niente che da un po’ di giorni mi si è appiccicata addosso come una mignatta.
Soffia uno sciroccale, forse il vento che preferisco, che peraltro manifesta chiare intenzioni di
portarsi da una dozzina fino almeno a una quindicina di nodi. Si sente subito
quando il vento ha voglia anche lui
divertirsi e di fare un po’ il matto, magari anche con qualche raffica a
sorpresa per inclinarti di colpo la barca e farti salire almeno un po’
l’adrenalina. Queste le premesse, con le quali nulla ha a che vedere quanto poi
realmente accade. Le prime virate all’interno del porto vanno bene. Quando esco
lasco le vele per allontanarmi dal’ultimo molo che mi copre il vento, appena
soffia di nuovo cazzo la scotta e vado al largo. La barca si inclina e comincia
a giocare con le onde, io mi diverto con lei, poi smetto di divertirmi quando
mi va l’occhio sullo strallo di prua che dondola come il pendolino di un rabdomante. O di un
ipnotizzatore, che rende meglio l’idea, visto che resto a fissarlo per qualche
secondo con sguardo catatonico. Quando cede una sartia laterale l’albero e le
vele finiscono direttamente in mare dalla parte opposta, il danno più grosso è
la fatica che ti costa recuperarli, o al peggio di abbandonare tutto in acqua
se c’è mare grosso e le cose vanno storte. Se si libera uno strallo, invece,
l’albero cade dritto verso la poppa mettendo in pericolo tutto quello che trova
sulla sua strada, testa inclusa, se ti coglie di sorpresa. Per di più, facendo
leva sul sedile, l’estremità in basso può causare uno sfacelo a prua. Questa la
situazione. Per il momento il vento gonfia le vele e spinge l’albero in avanti,
perciò il vero pericolo si presenterà alla prima virata, quando per qualche
attimo la prua sarà sottovento. Per fortuna, se è il caso di dirlo non lo so,
mi è già accaduto diversi anni fa, e quella volta è andata bene. Non devo fare
altro che ripetere quanto già fatto. Mi metto in bocca uno spinotto e una coppiglia,
fisso il timone con una cimetta e lasco un po’ la randa e il fiocco per evitare
di fare scuffia, poi mi distendo sulla prua e raggiungo l’estremità dello
strallo penzoloni. Sto filando a tutta birra. Lo spinotto dell’attacco è
scomparso, con tutta la coppiglia. Come cazzo ha fatto? Provo a reinserire lo
spinotto che ho in bocca. Niente da fare, l’albero strattona da matti. L’altra
volta ci sono riuscito, stavolta no, perciò necessita una variante. Raccolgo un
pezzo di cima e ne infilo un capo nella redancia all’estremità dello strallo, l’altro
nel moschettone che regge il fiocco. Tiro con tutta la forza, tra uno strattone
e l’altro, e alla fine riesco ad annodare. E’ andata. Avrò percorso almeno un
miglio. Torno al timone, virata e rientro. Tutto bene, ma sto cominciando ad
averne abbastanza, anzi, per dirla tutta, a rompermi i coglioni.
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